lunedì 29 dicembre 2008

giovedì 11 dicembre 2008

Scusatemi tanto, ma se il mio amico Roberto scrive post chilometrici, non lo posso fare pure io??


Eccone uno, tutto quanto copia/incollato, e neppure letto a dire il vero, ma mi pare carino :-)


 


P.S quando si ha fretta si fa così...


 


Il Giornale dei Misteri: Shakespeare e i di-segni dei sogni Shakespeare e i di-segni dei sogni di Luca A. M. Rossi Articolo presente sul numero 423 de "Il Giornale dei Misteri" - gennaio 2007
per gentile concessione di www.4rum.it .

L’universo delle opere shakespeariane è popolato di personaggi che abitano ed agiscono su vari piani e dimensioni sospese. Esseri ed energie che nel sogno vivono di un interscambio continuo, riportandoci poi alla dinamica della ragione, che conosciamo come riferimento e luogo della cosiddetta razionalità e comunicazione. Nel luogo di riferimento viene così riportata, assimilata e riadattata ogni immagine ed esperienza vissuta nelle altre dimensioni mentali e fisiche. Per Shakespeare molte di queste esperienze avvengono nei boschi, nei giardini, quasi sempre in ore notturne. Nella notte shakesperiana arriva di tutto... Alcune volte i luoghi sono interni o vicinanze di stanze e torri di castelli, ma sempre nella notte, stato oscuro di abbandono, perdita di dimensione logica, con possibili spostamenti di tempo e di livelli. L’intreccio delle trame diviene volutamente difficoltoso da seguire, si intersecano vari piani dei racconti, che successivamente confluiranno e si chiariranno in vista del finale. Commedia di ambiente boschivo, dove avvengono prodigi tra personaggi umani ed animali è Il sogno di una notte di mezza estate (A midsummer night’s dream), scritta tra il 1595 e 1596. Una commedia fantastica e vivace, omaggio di Shakespeare all’innamoramento cieco e folle. La vita delle strade londinesi si mescola al mondo magico dei folletti in una storia romantica ed intricata, pare fosse stata ideata per festeggiare le nozze del maestro inglese. Bottom: «Ho avuto un sogno (...) l’uomo non è che un somaro, se si mette a spiegar questo sogno. (...) Occhio umano non ha udito, né orecchio umano ha visto, mano d’uomo non è in grado di gustare, né la sua lingua di comprendere, né il suo cuore di narrare, quello che fu il mio sogno: Farò scrivere una ballata intorno a questo sogno: sarà intitolata “Il sogno di Bottom”, perché è senza fondo...». Un sogno senza fondo per dare la dimensione di un infinito universo interiore. Oberon e Titania, re e regina delle fate, hanno litigato. Per farle dispetto, Oberon ordina al folletto Puck di versare negli occhi di Titania addormentata il succo di un fiore magico che la farà invaghire del primo essere che vedrà al risveglio. Puck fa in modo che questi sia il tessitore Bottom al quale, con un altro incantesimo, ha trasformato la testa in quella di un asino. Ed ecco la scena in cui la fata Titania, circondata di fate e folletti, si desta al suono del canto di Bottom, con la testa d’asino, per il quale prova subito un amore irresistibile. Titania: «Qual angelo mi sveglierà dal mio letto di fiori? ». Bottom: «Il passer, l’allodola, il fringuello. Il grigio cuculo dal canto piano, e la cui nota più di un uomo ascolta e non osa rispondere di no...». (Atto III, scena I) La sostanza che compone i nostri sogni è materica, infatti l’intensità con la quale li percepiamo è totalizzante tanto da assorbirci completamente. Nel Sogno di una notte di mezza estate Shakespeare crea un clima intermedio, che convive a metà strada tra sogno e stato desto, notte e giorno, confondendo ed invertendo i due livelli nella mente dei personaggi. Questo stato di confusione crea una sospensione, una specie di apnea mentale, che ricerca un possibile piano di “realtà” per riemergere dallo stato di torpore. Se invece ci abbandoniamo a vivere questo torpore – che poco conosciamo e di cui abbiamo paura – se non avessimo la smania di uscirne troppo presto ma il coraggio di affrontarlo, potremmo scoprire nuove parti sconosciute di noi... Animali fantastici dalle sembianze umanoidi, trasformazioni magiche, animali parlanti che usano un linguaggio simbolico, popolano anche altre opere di Shakespeare. Il valore simbolico del sogno non è finalizzato semplicemente a suscitare stupore: ci trasporta nel passato, nel mondo delle nostre infanzie per riviverne i ricordi, descrizione reale, fraseggio delle interiorità profonde, simbolo che interagisce con il profondo. Nell’Enrico VIII la prima moglie del re, Caterina d’Aragona, la notte prima della sua esecuzione riceve in sogno la visione consolatrice degli spiriti che le assicurano una felicità eterna. Confortando Caterina, gli spiriti consolatori determineranno positivamente le sue scelte ed il destino karmico della sua vita futura. In Macbeth Lady Macbeth, moglie di un generale di Duncan, re di Scozia, ha spinto il marito a uccidere il sovrano per usurparne il trono. Ella stessa per prima ha levato il pugnale contro Duncan dormiente ma, perseguitata dal rimorso, perde la ragione e cerca invano di togliersi dalle mani le macchie di sangue. Nel dramma di Macbeth Shakespeare usa il sangue, il coltello o il pugnale come simboli, anche qui è la notte accompagnata da uno stato allucinatorio incalzante e folle che porta la coppia dei due assassini a scoprirsi, autodenunciandosi. Un mondo che si trasforma, che diviene un incubo, perdendo ogni possibile riferimento al quotidiano, scandito dalle tormentose, oscure predizioni delle tre streghe… Macbeth, Atto I, scena III, Banquo e Macbeth incontrano le tre streghe sulla piana: Banquo: «...E queste? Così vizze e selvagge nell’aspetto... chi sono? Non hanno nulla di terrestre, eppure stanno in terra. Siete vive? Un uomo può parlarvi? Mi capite sembra: poiché ciascuna a turno poggia il moncone del dito sulle labbra consunte. Donne vi si direbbe se non fosse per quella barba». Le streghe della predizione di Macbeth influenzeranno tutta l’opera, innalzandolo prima e portandolo alla perdizione poi. “…Il sonno innocente... morte della vita d’ogni giorno, bagno ristoratore del faticoso affanno, balsamo alla dolente anima stanca, piatto forte alla mensa della grande natura, nutrimento principale nel banchetto della vita (..) scuotetevi di dosso codesto molle sonno, che altro non è se non la contraffazione della morte”. Macbeth e Lady Macbeth vivono di apparizioni rivelatrici sospese tra sonno e veglia: in questo stadio intermedio si compiono visioni che verranno a compimento, portando Macbeth all’annullamento del suo potere ed alla morte. L’apparizione dello spirito del padre di Amleto, il re morto assassinato, rivelerà al figlio l’episodio ed il volto del suo assassino, conducendolo verso la strada della giustizia. Anche in questo caso, i personaggi della visione sono come “guida” alla dinamica d’azione quotidiana. Sono i sogni o le visioni che danno indicazione per la perduta e ritrovata strada. Riferimenti provenienti dalla premonizione del sogno o da allucinatorie vi-sioni, ma sempre da uno stato extra-sensoriale, come contributo alla quotidianità. Amleto: «Ho sentito dire che il gallo, questa tromba che annuncia il mattino, risveglia il dio del giorno con la sua gola alta e acuta, e che al suono del suo segnale, ovunque si trovino, nel mare o nel fuoco, sulla terra o nell’aria, gli spiriti vaganti ed errabondi, ritornano nel loro regno (..) ...è svanito al canto del gallo. Alcuni sostengono che, in prossimità del Natale, l’uccello dell’alba canta tutta la notte senza posa e allora, dicono, non ci sono spiriti vaganti, le notti sono salubri, i pianeti non esercitano influssi malefici, le fate non possono fare incantesimi né le streghe fatture: tanto quel tempo è santo e pieno di grazia (...). O dio potrei essere confinato in un guscio di noce, e considerarmi il re di uno spazio infinito, se non facessi brutti sogni». Qualunque sapore abbiano, siano essi sogni od incubi, il loro sapore cambia ed abbraccia piani differenti. Ne Il racconto d’inverno i sogni divengono luogo di visioni e terreno di conflitti: Ermione: «Sire, voi parlate un linguaggio che non comprendo (ricordo). La mia vita è (in funzione) alla mercé dei vostri sogni ed io ve l’abbandono (concedo)». Leonte: «I miei sogni sono le vostre azioni..». (Atto III, scena II) In Romeo e Giulietta i sogni acquistano il sapore delle emozioni, delle passioni d’amore: Romeo: «O notte beata! Temo che, essendo com’è di notte, tutto questo non sia altro che un sogno, troppo dolce e troppo lusinghiero per essere fatto di sostanza vivente». Ne La Tempesta, abbiamo la definizione contenutistica del significato del sogno, che interagisce con gli altri stati umani: Prospero: «Noi siamo fatti della stessa sostanza materiale di cui sono fatti i sogni, e la nostra breve vita è ruotante nel sonno». In Shakespeare il sogno diviene premonizione, indicazione da percorrere, rivelazione, sempre coinvolgimento completo, totalizzante. Il sogno sembra apparire il nostro riferimento reale, perché? Se dovessimo rispondere alla domanda: noi cosa siamo? Potremmo dire: noi siamo il sogno, cioè: siamo fatti della materia di cui son fatti i sogni, per dirla come Shakespeare ci indica nella sua opera testamentaria: La tempesta. Cosa vuol dire Shakespeare con questa affermazione? Potremmo fermarci semplicemente alla sua bellezza poetica e non addentrarci in possibili o impossibili significati, ma si sa che Shakespeare, come Michelangelo, Leonardo ed altri geniali artisti, non si ferma mai ad un unico ed esteriore piano di lettura ma ci invita ad approfondire: non per una semplice e letteraria ipotesi interpretativa, ma per una autentica ricerca del vero. E l’arte per esser tale, attraversando i secoli, non è certo leggibile su di un piano puramente esteriore. La “materia” dei sogni – egli dice – come se i sogni fossero materiali, tangibili... Non usa un termine aereo più “consono” ed assonante con il mondo dei sogni, per esempio: “sogni aerei come nuvole, sogni di vento”, ma un termine appartenente a ciò che noi intendiamo facente parte della vita reale, della cosiddetta “realtà”, cioè il quotidiano stato di veglia. Il mondo esterno interagisce con noi e noi con lui, siamo nel luogo dell’azione attiva, dinamica, in una parola: dove operiamo le scelte che vanno a concatenarsi, in un modo o in un altro, con il nostro karma. Quindi “materia dei sogni” riporta ad un luogo che di per sé potrebbe sembrare immateriale, ma che diviene, grazie a Shakespeare, il luogo del riferimento, della materia, dove elaboriamo le alchimie interiori, umane. Ma di che tipo di materia si tratta? È lì, in quello spazio-tempo, che l’anima parla e lancia i segnali nella quotidianità. Il problema è solo uno: che quasi nessuno ne conosce il difficile linguaggio, per una forma di “analfabetismo”. Si sta parlando di un linguaggio simbolico, non da manuale della Smorfia (parola-immagine-numero), ma esclusivo della persona che sogna e quindi non codificabile. Quel linguaggio può essere interpretabile attraverso il channelling, una canalizzazione che lo traduca nel linguaggio quotidiano, che possa esser utile in questo, laddove appunto si dirige, proveniente dalla nostra matrice profonda: anima-mente. Se il sogno non viene tradotto ha poco senso di manifestarsi: Nella maggior parte dei casi avviene semplicemente così: viene cestinato e dimenticato. In civiltà evolute, cioè ricche di interazioni simboliche, cioè deposito storico, come quelle greche o latine, esistevano le sibille, o nella tibetana i veggenti, coloro che per mestiere e grazia ricevuta facevano e fanno gli interpreti dei sogni. Così come in grandi civiltà e comunità millenarie africane, aborigene o amerindie, che noi spesso appelliamo con un pizzico di razzismo: “Terzo mondo”. L’interpretazione dei sogni diveniva allora un riferimento per quei grandi eventi che riguardavano le comunità: basti pensare all’Antico Testamento, denso di sogni e visioni che determinano il destino dei popoli, preannunciandone gli eventi futuri, funesti e non. Ecco il sogno come “annuncio” di cambiamenti futuri. Ma chi è che entra nei sogni e come possono arrivare questi segni? I sogni dei grandi, come quello del Faraone nella Bibbia, sono segni divini: Dio stesso “parla” a coloro che sono in grado di recepirli, di farne tesoro, di accoglierne la potenza per influenzare ed indicare le scelte umane. Tornando a Shakespeare, egli ci riporta ai sogni indicandoci quel luogo come connessione della nostra anima dove ci contatta e ci parla, indicandoci il percorso da seguire, come riferimento chiarificatorio, tutt’altro quindi di ciò che sostengono alcuni moderni studi di psicologia e psichiatria, che relegano il sogno ad un semplice esercizio della mente o poco più... Certamente i sogni hanno anche la funzione di auto-guarigione, di riequilibrio, avvengono per sanare le ferite e le sospensioni del passato insoluto, spesso insistendo con immagini proiettate della stessa persona, magari per farla riabilitare e recuperare ai nostri “occhi” profondi. Il sogno è la nostra realtà, l’essenza, il risultato di una elaborazione della vita, una risposta dell’anima che durante la notte, quindi nella immobilità fisica quasi completa e in quella della mente (troppo impegnata nelle attività quotidiane e quindi confusa nel caos della Maya dove tenta di orientarsi) si manifesta. Proprio quando l’esterno è immobile e fermo, l’interno può agire e manifestarsi. La parte esterna si manifesta con l’azione, quella interna, la mente-anima, con la elaborazione simbolica e successive indicazioni. Le due parti sono fatte per comunicare ed interagire. Per divenire una società evoluta e progredita, dovremmo quindi usare i sogni come guida dello stato quotidiano, poiché la vera “realtà” sono i sogni, nostra unica prospettiva e possibile guida. Se nella quotidianità possiamo “scegliere” di mentire o dire il vero, nei sogni non esiste questa scelta.




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lunedì 8 dicembre 2008

Nella grettezza dell’anonimato...


Sono quelle persone che minano i rapporti sociali, che versano nell’orecchio l’odio, che raccomandano perfidia, che vorrebbero squalificare la credibilità di chi non ha avuto la loro stessa sfortuna di nascere con così tanti limiti.
Ma non è una questione di coraggio o vigliaccheria. Questi individui che intervengono anonimamente nei blog (è capitato anche a me, un paio d'anni fa) rispondono ad una loro essenza. Solitamente sono coloro che non godono di credibilità all’interno della comunità, sono i privi d’argomenti, sono quelli che vorrebbero la stima di tutti e che sistematicamente ne ottengono il disprezzo. Il guaio è che  noi le loro infamie  le leggiamo, vorremmo scoprire chi è l’autore e addirittura ne ridiamo dimenticando di stringere in mano scritti maleodoranti.
Oggi, come nel peggiore degli incubi, a questa gente è data l’occasione di diffondere la propria spazzatura attraverso internet. Un’innovazione così importante, un vettore di crescita collettiva, finisce con l’essere impiegato da gente che sa essere iena e carogna nello stesso tempo. A questi non pare vero d’avere a disposizione un mezzo come questo per vivere, possono rafforzare il proprio anonimato, renderlo costante, diffonderlo. Sanno che possono invadere una qualsiasi dignitosa pagina con il loro fetore.

Quell’anonimo al quale mi riferisco deride il più serio dei  blog (il blog di Mario)  utilizzando i luoghi comuni della più generica meschinità e noi ci sentiamo incapaci di risposta, forse perché non c’è una risposta. Possiamo soltanto esprimere il nostro senso di nausea, e ripensare a quando un bravo filosofo come Umberto Galimberti disse in un'intervista che i bassifondi sociali esistono, occorre farsene una ragione, ahinoi esistono. Ma non è di questa "piccolissima gente" che parlavo nel post precedente, assolutamente no.

sabato 6 dicembre 2008

 



E' così facile parlarne malissimo...


Ma a me..


La gente, la gente di cui non so niente,


PIACE.

giovedì 4 dicembre 2008

Alla fine...arrivo sempre a Shakespeare,



io che non amo tanto le citazioni, perché considero che le parole siano già in me, e devo solo portarle alla luce e liberarle,


mi accorgo però ogni volta che per Shakespeare questa teoria non vale più.


Perchè quando nel Re Lear fa sospirare al vecchio padre  il suo dolore lacerante per la morte della figlia , Shakespeare lo sa fare con una forza drammatica primordiale insostituibile.


"E non la rivedrò mai,  mai,  mai,   mai  mai  più "