lunedì 28 giugno 2010



...
Cavillo, litigo, mi lagno e mi lamento.
La casa mi sta stretta.
L’idea di un uomo mi fa star male...
Sono certo sul punto di innamorarmi di nuovo.


(da "Sintomi", Dorothy Parker)

sabato 19 giugno 2010

Dualismo salutare...


Che poi sia salutare è ancora da dimostrare.


Io parlo benissimo , della psicanalisi e degli psicanalisti.


Io stessa ne ho approfittato a piene mani, per uscire dalle mie trappole mortali.


E la gratitudine per chi ti salva la vita è infinita, si sa.


Ma quando oggi, cioè l'altro ieri a pranzo, sento ancora vecchi triti e ritriti discorsi su innamoramenti e proiezioni, su quanto conti assai di più il significato simbolico dell'investimento in corso che non il fatto in sè di piacersi fra due persone, e che il desiderio di gravidanza indichi germogli di nuovi progetti, e quello che non va in lui è in realtà dentro di te ecc ecc,


io quando sento tutto questo mi sento come l'evaso che passeggia attorno alla prigione.


Perchè sono delle gran care persone, tutti questi psicologi e affini,


ma se c'è una cosa che mi dà proprio tanto sui nervi è quel loro sapere tutto. Dicono di no, ma non ci credono.


E il loro spargere di disincanto tutto quello che non ci è dato di capire, emozioni comprese, anzi, emozioni in testa. E si affannnano ad esaltarle, le emozioni. Con la loro voce controllata.


Ma io, oggi, preferisco di gran lunga non capire. E annaffiare la mia propensione all'incanto.


E NON SI AZZARDI LA CARA AMICA A DIRMI OH BENE, ESSERE CAPACI DI INCANTARSI SIGNIFICA CHE....



 


 


 

venerdì 18 giugno 2010

"La let­te­ra­tu­ra di Car­ver è in grado di toc­ca­re corde tal­men­te sot­ti­li del no­stro animo, tal­men­te na­sco­ste in pro­fon­di­tà, che una volta por­ta­te in su­per­fi­cie ri­lu­co­no come pie­tre pre­zio­se e u­ni­che." (ho letto questa cosa da qualche parte e la condivido )


Non conosco Raymond Carver (recupererò subito!), ho solo letto due giorni fa "Una cosa piccola ma buona", e ora mi sento esattamente come dopo un incontro importante.


sabato 12 giugno 2010

venerdì 11 giugno 2010

Ai miei amici italiani,


che non smettano di credere che l'incubo finirà presto.


fra gli ultimi scritti di Giovanni Raboni


Stillicidio di delitti, terribile:


si distruggono vite,


si distruggono posti di lavoro,


si distrugge la giustizia, il decoro


della convivenza civile.


E intanto l’imprenditore del nulla,


il venditore d’aria fritta,


forte coi miserabili


delle sue inindagabili ricchezze,


sorride a tutto schermo


negando ogni evidenza, promettendo


il già invano promesso e l’impossibile,


spacciando per paterno


il suo osceno frasario da piazzista.


Mai così in basso, così simile


(non solo dirlo, anche il pensarlo duole)


alle odiose caricature


che da sempre ci infangano e sfigurano…


Anche altrove, lo so,


si santifica il crimine, anche altrove


si celebrano i riti


del privilegio e dell’impunità


trasformati in dottrina dello Stato.


Ma solo a noi, già fradici


di antiche colpe e remissioni,


a noi prima untori e poi vittime


della peste del secolo


è toccata, con il danno, la beffa,


una farsa aggiunta alla sventura.


 


                    ******



Canzone dei rischi che si corrono





Un'ossessione? Certo che lo è
.Come potrebbe non ossessionarci
la continua reiterazione
degli stereotipi più osceni,
l'alluvione di falsità e soprusi,
la suprema pornografia dell'astuzia
fatta oggetto di culto,
della prepotenza fatta icona?
Andiamo a dormire pensandoci,
ci svegliamo con questo fiele in bocca
e c'è chi ha il coraggio di chiederci
d'essere più pacati e costruttivi,
d'avere più distacco, più ironia...
Sia detto, amici, una volte per tutte:
a correre rischi non è soltantola credibilità della nazione
o l'incerta, indubitabile essenza
che chiamiamo democrazia,
qui in gioco c'è la storia che ci resta,
il poco che manca da qui alla morte.
GIOVANNI RABONI

P1040483 von croccodilla.



Non per caso, mai per caso


giovedì 10 giugno 2010

Credere o no nella felicità.

Perchè alla fine ruota tutto attorno a questa domanda.

martedì 8 giugno 2010

SONO PER IL RECUPERO DI UNA PAROLA DIMENTICATA: VERGOGNARSI.


Qui riporto l'ultimo post di LIA. Buona (amarissima) lettura. E suggerirei di divulgare, a più persone possibile.


Questo il post, le cui ultime parole sono "si vergogni":


La fine della scuola



Sta girando in rete la lettera che Mila Spicola, un’insegnante palermitana, ha indirizzato al ministro Tremonti. E’ stata pubblicata su MicroMega e, come dice lei, “io la riporto integralmente perchè mi appartiene totalmente“.


cattedra


Lo scempio della scuola pubblica sotto la scure di Tremonti


di Mila Spicola


Ministro Tremonti,


dirà lei: non ne posso più di sentirvi, voi insegnanti. Molti lo stanno già dicendo insieme a lei. Eppure, non demordo. Ci sono due tipi di alunni svogliati: quelli che a furia di rimproveri continuano imperterriti a rifiutare qualunque invito alla responsabilità e quelli invece che, sentendosi ripetere sempre la stessa cosa, alla fine rinsaviscono per sfinimento. Voglio essere ottimista, annoverare lei tra i secondi e prenderla per sfinimento. Fosse anche una minima parte dello sfinimento che ho io, alla fine di quest’annus terribilis per la scuola italiana. Stanca, amareggiata, sconsolata, eppure lei non ci riesce a prendermi per sfinimento, continuo a protestare, come i soldati alle Termopili. Magari lei non ascolterà, ma qualche italiano di “buona volontà” , come si diceva una volta, sì.


Lei mi obbliga a violare la legge. Mi piacerebbe incontrarla per dirglielo guardandola negli occhi. Lei sta obbligando la maggioranza dei docenti italiani a violare la legge. E’ esattamente quello che accade in moltissime scuole italiane. Cosa significa infatti ammassare più alunni di quanti un‘aula può contenerne, se non violare la legge? Sono ben tre le norme violate: la normativa antincendio, quella per la sicurezza negli edifici scolastici e quella igienico sanitaria. Molti sanno che lei ha tolto ben 8 miliardi all’istruzione pubblica. “C’erano tanti sprechi e siamo in tempi di crisi, bisogna razionalizzare”, saggia e incontrovertibile affermazione. Così ha giustificato la cosa. Di contro, però, le spese militari ricevono 25 miliardi di euro e leggo in questi giorni di un bonus di 19 mila euro a classe per le scuole private e leggo anche di un aumento di circa 200 euro mensili per i colleghi di religione, buon per loro, non sia mai, ma allora non bloccassero i nostri per i prossimi secoli.


Mettiamoci d’accordo. C’è la crisi o no? Un giorno c’è, un giorno non c’è, un giorno è un “anatema psicologico delle sinistre” e l’altro giorno “dobbiamo fare sacrifici”. Ma non tutti, attenzione: gli statali. Io mi sono arrovellata nel tentativo di capire dove fossero quegli sprechi quando, nell’agosto 2008, ho saputo degli 8 miliardi da togliere alla scuola pubblica. Ma lei ha fugato i miei dubbi: lo spreco era studiare l’italiano, e quindi via due ore. Lo spreco era studiare la tecnologia moderna e quindi via un’ora. Questo alle medie. Escano prima i ragazzi: così hanno tempo per riflettere. Lo ha detto il ministro Gelmini. Lo spreco era recuperare i bambini con difficoltà (cosa frequentissima nei contesti dove vivo e ho scelto di insegnare io, e cioè nelle periferie), e quindi via le compresenze in talune ore di due maestri nelle elementari: a questo servivano, caro ministro. Il tutto eseguito con la furia di un boscaiolo cieco che ha distrutto chiome sane, piante rigogliose e qualche ramo secco, ma troppo pochi, in cambio della distruzione della nostra foresta amazzonica: il polmone del nostro futuro. Quelle due ore d’italiano e le compresenze servivano anche a coprire le assenze dei colleghi senza ricorrere a supplenze esterne. Inoltre: aumentiamo i ragazzi per classe: fino a 30, 33, ma sì. Realizziamo un bel parcheggio per ragazzi, non una scuola certamente. Del resto sono altre le fonti vere della formazione: la vita, la strada, la televisione, il computer. Per chi vuole studiare veramente ci sono le scuole private. Studiare cosa e come poi è da vedere.


C’è un piccolo particolare: tutto ciò è anticostituzionale. La Costituzione riconosce alla scuola pubblica, statale, italiana il compito di formare e istruire gli italiani. Le private? Una scelta possibile, non obbligata. Non era un paradiso la scuola pubblica, prima di Tremonti, ma i problemi erano altri, non certo questi, ed era una bella scuola. Chi non deve parte della sua personalità a quel docente che non dimenticherà mai?


Torniamo alle sue motivazioni: la gestione dei singoli istituti, troppi soldi, troppi. E quindi tagli anche a quella: tagli alle ore e tagli ai finanziamenti per la gestione. “Facessero una colletta i genitori, e che sarà mai qualche decina di euro”. Nulla. Ma non c’era la crisi? Nella mia regione, in Sicilia, qualche decina di euro aiuta ad andare avanti. E così avete tagliato. Nella scuola dove insegno io, una normale scuola media della periferia palermitana, ma potremmo generalizzare a tutte le scuole medie d’Italia, siamo quasi alla paralisi. Avete compiuto il miracolo: unire di colpo nord e sud nella omologazione verso il peggio. Dico quasi, perché poi, incredibilmente, docenti e dirigenti sono diventati bravi a fare i salti mortali e le capriole all’indietro. Questo lo sapevate, vero? Qual è l’unica classe di lavoratori in Italia che, nonostante tutto, continua a lavorare senza grossi drammi? La nostra. Nel senso che lei aveva ragione e che quindi, nonostante i tagli, e visto che riusciamo ad andare avanti, la scuola non ha tutti ‘sti problemi? No, aveva ragione perché per noi quelli che non devono subire le ricadute gravissime della sua scelta scellerata, ripeto, scellerata, non devono essere i ragazzi: e dunque si alza la saracinesca comunque e si fa l’appello tutte le mattine.


Però sa cosa c’è? C’è che abbiamo anche sopportato e stiamo sopportando molto, ma l’illegalità di stato dentro una scuola no. Io non la sopporto e la denuncio. Tagliare completamente i fondi di gestione delle scuole ha comportato l’impossibilità di chiamare supplenti per coprire le assenze giornaliere, adesso che non ci sono più quelle due ore che servivano a coprirle. E dunque le classi si dividono in altre classi. Giornalmente. I ragazzini si prendono la loro sedia e vagano nei corridoi in cerca di spazio. Perdendo ore di lezione. E allora: posso sopportare di lavorare meno, posso sopportare di farlo in una scuola ammuffita, con l’acqua che filtra, senza vetri (lei mi dirà: si rivolga all’amministrazione comunale), posso sopportare di non avere carta igienica per i ragazzi, sapone nei bagni, riscaldamenti a singhiozzo. In una mia classe di prima media ho 23 bambini, 4 di loro con gravissimi disagi sociali e disturbi comportamentali (sono figli di carcerati), due con problemi di apprendimento e uno disabile grave. Io insegno arte: nelle mie ore non ho insegnante di sostegno, perché sono state tagliate le ore del sostegno, come tanti sanno. A volte me ne arrivano altri 3 o 4 da altre classi.


E allora mi dica lei qual‘è il diritto all’istruzione negata del mio alunno disabile? Qual è il diritto all’attenzione precipua negata ai 4 bimbi con problemi sociali? E ai due che non riescono a leggere senza distrarsi? E‘ una scuola di periferia, se non li aiuto io chi li aiuta? E il resto dei compagni? Non hanno diritto alla “normalità”? E poi viene la ministra Gelmini a parlar male dei docenti del sud, di come i nostri alunni sono in fondo alle classifiche delle prove di merito: ma in queste condizioni cosa vi aspettate? E’ già un miracolo se abbiamo le sedie nella mia scuola. L’inverno lo abbiamo trascorso con muffa e infissi rotti, che puntualmente aggiustiamo stornando somme da altri fini. “Si rivolga al Comune” dirà lei. Il suo sindaco di centrodestra ha tagliato anche lui tutti i finanziamenti alle scuole: sia per il funzionamento ordinario, sia per le manutenzioni. Non ci resta che Santa Rosalia. Macchè, manco la chiesa ci appoggia, noi sciagurati delle periferie, intenta com’è a salvaguardare le scuole private.
Lei lo chiama razionamento e si riempie la bocca di frasi assurde sul come l’Italia stia reggendo la crisi. Mi scusi: ma che cavolo sta dicendo? Lo deve dire lei, una statistica o io? Ho 253 alunni, 253 famiglie cioè: un bel campione di famiglie di periferia, come ce ne sono a migliaia nella corona delle città italiane. Forse ne so parlare meglio di lei degli effetti della crisi, sig. Ministro: niente fumo negli occhi ahimè a noi che le vediamo e viviamo la verità delle cose. Perché nemmeno il contributo di 15 euro annui riescono più a pagare. Un disastro che chiamo illegalità.


Io non posso adeguarmi. Non per me stessa, che alla fine noi docenti ci abituiamo a tutto, ma per loro. Non posso più tollerare che quei ragazzi siano il bersaglio vero delle nostre scelte. E’ questa l’illegalità, non solo la ‘ndrangheta, la camorra e la mafia, è questo l’esempio in cui crescono i miei ragazzi sfortunati. Ma l’illegalità e il non rispetto della legge no. A Palermo no. Non in quel quartiere: la scuola non può tollerarlo perché è l’unico baluardo dello Stato. Porti solo la sua firma questo scempio: io non voglio rendermene complice. E non mi dica che sto facendo politica, che parlo male della scuola e che un insegnante non può farlo. Io non parlo male della scuola? Come potrei? E’ la mia vita. Io dico male della distruzione che ne state facendo, parlo male di voi, ecco perché non me lo permettete. Non di fare politica, bensì di esercitare un dissenso sacrosanto. Si difenda contraddicendomi con fatti. Parlo male… Faccio politica… dice? E sia pure! Io ne ho più diritto di lei, che sia chiaro: sono io a formare i cittadini di domani, mica Lei. Lei passerà, per fortuna, ma i docenti italiani ci saranno sempre a insegnare cosa voglia dire rispettare le regole, rispettare la legge, cosa significhino parole come “comunità”, come “solidarietà”, come “eguaglianza”, come “fraternità”. Questa è politica, caro Tremonti, ed è il senso del mio mestiere. Glielo insegno di più io, non di certo Lei che gli toglie maestri, risorse e ruolo sociale: perché se si permette di uccidere il mio ruolo, insieme al mio, annulla quello di studente. Non ci aveva pensato? Lasciate i fanciulli senza guida, ne farete dei tiranni, questo diceva Platone. Quante mamme non posso riconoscersi in quella frase ripercorrendo le lotte giornaliere con i loro piccoli tiranni?


Da qualche mese mi rifiuto di accogliere ragazzi provenienti da classi divise oltre il numero consentito. E lo farò anche a fronte di ordini di servizio scritti. Venga qualcuno a obbligarmi. Venga pure. Io mi rifiuto. Il mio Dirigente mi dirà: dove li metto allora? Io la rivolgo a Lei questa domanda: dove li mettiamo? La rivolgo ai suoi elettori, che sono anche genitori: dove volete che li mettiamo i vostri figli?


E allora le faccio una proposta indecente davvero: di quei 25 miliardi alle spese militari destini nuovamente alla scuola pubblica gli 8 miliardi tolti. Oppure assegni i proventi del lotto per un anno alla messa in sicurezza degli edifici scolastici: sono questi i monumenti culturali dell’Italia che amo. La smetta di giocare con la vita e con l’istruzione dei nostri figli. Anzi, le dico di più, se posso: se ne vergogni.

giovedì 3 giugno 2010

Questo articolo uscirà sul prossimo numero della rivista per insegnanti  della svizzera Italiana "scuola e educazione" (o qualcosa del genere). Anna ha smesso di essere con noi un anno fa, il 27 giugno 2009.


Educare ad una  sana sessualità


Si occupava anche, saltuariamente, di educazione alla sessualità nelle scuole. Non andava in tutte le scuole, lei che dirigeva il Centro di Pianificazione Famigliare a Bellinzona, e non so nemmeno adesso con quale criterio alcune direzioni di Scuola Media decidano solitamente di invitare un’esperta per parlare di “queste cose” e con quali altri criteri  altre scuole preferiscano delegare la materia un po’ imbarazzante ad un malcapitato insegnante di scienze, o forse al docente di classe, o a chiunque si assuma in qualche modo questo soi-disant compito educativo. O si dicano che ci pensino i genitori a parlare di questo…problema. Lei (l’Annina), voleva bene ai giovanissimi, ma proprio tanto, e sapeva parlarne con serietà e naturalezza, di loro e della materia che era invitata a trasmettergli in poche lezioni. Lei sapeva meglio di me con quali parole iniziare il discorso sulla sessualità ad un gruppo di intimiditi ragazzi e ragazze. Lei, che non amava i numeri e la matematica, era certamente consapevole di una verità statistica lapidaria: se inizi male hai buone probabilità di concludere anche peggio, se dalla realtà esterna (modelli famigliari, modelli cinematografici, modelli televisivi o pubblicitari, o modelli di bigottismo di vario genere) attiri dentro di te, in profondità, la convinzione che la sessualità sia una bestia sporca, di cui vergognarsi, meglio non parlarne, meglio farsene un’idea vaga e parecchio ambigua e poi si vedrà, se intraprendi sin dalle tue primissime esperienze un approccio sorretto da un’immagine di sesso-volgarità, e sarai dunque sfronatamente colpevolizzante nei confronti dell’eros, stai pur certo che avrai scarsissime probabilità di costruire, tra qualche anno, un rapporto d’amore attivo e capace di elargire ad entrambi la stessa dose di felicità sessuale-affettiva. Anna aveva a cuore il tema della sessualità non come l’insieme di svariati frammenti slegati fra loro: il capitolo della contraccezione, il capitolo della verginità, il capitolo dell’aborto, il capitolo dell’innamoramento o dell’omosessualità ecc ecc. Lei piazzava grintosamente con i ragazzi al centro di tutto la Relazione. Naturalmente non so esattamente come, con quali parole e  quali strumenti didattici o pedagogici lo facesse, io so solo che cosa lei mi raccontava. Anzi, posso solo parlare di quello che a me rimaneva impresso del suo racconto. Per cui potrei persino averla parzialmente fraintesa, e magari si accenderebbe facendomi un fulmineo serissimo ripasso dei concetti fondamentali  leggendo questo scritto che parla di lei che si occupava di sessualità nelle scuole. E allora io per forza mi fido di quanto credo d’avere capito bene, del suo messaggio, e penso avrebbe piacere che continuasse anche in sua assenza, visto che l’Annina non c’è più. La sessualità non è cosa fai, e come (si, certo, anche!) e con chi, ma cosa comunichi di te ad una persona che ti comunica qualcosa di sé. A qualsiasi età, ragazzi. La complessità in contrapposizione alla banalizzazione ginnica, strumentalizzante e volgare. Il rifiuto dell’espressione “fare sesso”. Che però non significa negarlo. Significa imparare che la sessualità del “fare sesso” è soltanto l’espressione fisica di una cosa che merita molto di più, perché altrimenti si esce dalla sfera del rispetto. Piaccia o no ammetterlo, è sempre di relazione intima che si tratta. Una relazione intima che può durare o che può rivelarsi della stessa consistenza e durata di un sogno, perché è anche attraverso queste esperienze che si cresce e si matura. Ma è sempre un avvicinarsi consapevole e responsabile ad un’altra persona. E non alla parte del suo corpo da cui saccheggiare un piacere edonistico, incurante del valore di quell’atto. Quanto mi mancano le chiacchiere con mia sorella sulla sessualità dei giovani,  e quanto vorrei che avesse lasciato a tutti loro una lettera pro memoria, per rassicurarli di una cosa: sentite dentro di voi la pulsione dei vostri (diceva così) ormoncini, e lasciatevi guidare dal sentimento per permettergli di avvicinarvi ad una ragazza con estrema cura del rapporto che con lei vorresti avere. E solo se anche lei vorrà la stessa cosa, e solo con estremo rispetto di quello che poi  avverrà fra voi due. E alle ragazze avrebbe concluso questa sua lettera con una raccomandazione aggiunta: ragazze, avrebbe detto, sappiate che ancora oggi  le donne vittime di violenza –soprattutto in casa- sono moltissime; iniziate ora che siete adolescenti di quarta media a farvi crescere dentro, nel cuore della vostra autostima, una voce perentoria che vi dica mai mai mai mai un uomo potrà alzare un braccio su di voi. Perché ricordatelo bene (altra sua espressione frequente): l’amore è ricerca della felicità di entrambi, e una sola volta che vi manchi di rispetto è già di troppo, non concedetegli la seconda possibilità. Davvero, non fatelo. Anche da ragazzini e da ragazzine alle primissime avventurose esperienze: il rispetto -fisico e psicologico- al di sopra di tutto il resto, soprattutto nell’intimità. Questo per lei era educazione alla sessualità, a partire dalle primissime esperienze, quelle che ancora non si fanno, ma si iniziano ad immaginare.


 

mercoledì 2 giugno 2010

martedì 1 giugno 2010

ADORO IL MIO LAVORO.


Ecco, l'ho fatto. Non avevo mai rilasciato una dichiarazione d'amore al mio lavoro, alle gioie che continua a darmi, a come mi fa all'occorrenza persino da antidepressivo, da distrazione, da antitarme dei pensieri tarmati (come in questi giorni rischierebbe di accadermi). Che mi impone di studiare, di confrontarmi, di non lasciar sfiorire una buona idea, di sentirmi sempre con una voglia matta di fare meglio.


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Potrebbero darmi un aumento, è vero, dopo tanti anni di fedeltà, ma se non accade il bello mi rimane comunque fra le mani. E non è poco, nella vita di una persona, non è assolutamente poco.