sabato 24 novembre 2012

Post dedicato a Mario, e al suo vivo, intenso ricordo, ancora oggi, dopo 4 anni.

mercoledì 28 dicembre 2011

LA FINE DEL PERCORSO E(‘) LINIZIO DEL VIAGGIO

Lorenzo Pezzoli (psicoterapeuta)


Un percorso sull’identità non inizia con un’esperienza nemmeno finisce al termine della citata esperienza, pur grande e importante he sia. Anzi. Il tragitto dovrebbe trasformarsi in viaggio e continuare, ed è sicuramente la tranche di un tragitto già in corso. Nel Flauto magico mozartiano si dice che “la morte é lunga mentre la vita è breve” e proprio questa qualità intrinseca di brevità e fragilità della vita rende il compito arduo e straordinario al tempo stesso. Nella dimensione della temporalità si sviluppa la grandezza. Avere un tempo illimitato fa perdere la dimensione del compito, frustra la ricerca, sbiadisce la passione. Nel tempo infinito non c’è storia, le storie non sono per l’eternità ma per la finitezza e per rinnovare nella finitezza l’avventura e la ricerca.

Il percorso identitario dovrebbe portare a comprendere la necessità di uscire dall’unilateralità ed aprirsi alla complessità del mondo interiore, di uscire dalla consunta presunzione dell’autosuf-ficienza e dalla unilaterale perfezione che è caratteristica dellaprincipessa protagonista de “Il principe ranocchio o Enrico di ferro” dei fratelli Grimm: la più giovane principessa era così bella che perfino il sole, che pure ha visto tante cose, sempre si meravigliava quando le brillava in volto. Ma poi succede, come sempre accade, che così sicura della propria unilaterale perfezione si inoltra a giocare nel bosco con la sua “palla d’oro”, immagine fin troppo esplicita di splendore e perfezione ma anche di chiusura e autosufficienza. Sicura di sé la principessa gioca con questa palla, con questa perfezione in un clima emotivo che la fiaba definisce di “noia”: “E quando si

annoiava, prendeva una palla d’oro, la buttava in alto e la ripigliava; e questo era il suo gioco preferito.”. Il mondo dell’unilateralità è sicuro di sé, si tratta sempre di mondi ordinati e prevedibili come ricorda G. P. Quaglino commentando il racconto di Stevenson del Dr. Jakyll e Mr. Hide e, nel mondo di Jakyll e Hide, non ci può essere comunicazione tra i due personaggi perché inconsape-voli, reciprocamente, di essere la stessa persona. E allora ogni parte si sviluppa unilateralmente, come mondo ordinato, prevedibile, razionale a suo modo. Assieme formano “una totalità malata che non accetta la propria costitutiva paradossalità”, così sostiene G. P. Quaglino, e io con lui ritengo che sono totalità malate e che ammorbano il loro ambiente circostante. Allo stesso modo la principessa della fiaba, così unilaterale e sicura che non può essere aperta all’altro, all’altro che sta dentro, alle proprie alterità interne, ma anche a quelle esterne: chiusa e per questo senza possibilità di storia se non ci fosse l’imprevisto: Ora avvenne un giorno che la palla d’oro della principessa non ricadde nella manina ch’essa tendeva in alto, ma cadde a terra e rotolò proprio nell’acqua. La principessa la seguì con lo sguardo, ma la palla sparì, e la sorgente era profonda, profonda a perdita d’occhio. Allora la principessa cominciò a piangere, e pianse sempre più

forte, e non si poteva proprio consolare.”. Un fatto apparentemente drammatico, sconcertante, critico sicuramente ma utile, questa perdita della unilateralità attraverso lo smarrimento della sfera d’oro. La perdita rappresenta così l’inizio della possibilità di uno sviluppo. Jakyll e Hide potrebbero continuare all’infinito perfetti ognuno a modo loro, dalla loro parte, ma incompleti e terribili perché hanno deciso di nonfrequentarsi. È così che succede al moralista che diventa sempre più estremo e intollerante e al malvagio che perde di vista la possibilità di redenzione. Ognuno dei due preso dalla sua parte dimenticando che l’altra identità è integrante per sé e forse proprio perché non riconosciuta diventa reciprocamente più accentuata, tremenda, estrema. La domanda che si pone Jakyill nella sua confessione forse non è quella giusta.

Ascoltiamolo: « Pensavo che se ognuno di questi [i due esseri che si dilaniano nella

coscienza di Jekyll] avesse potuto essere confinato in un’entità separata, allora la vita

stessa avrebbe potuto sgravarsi di tutto ciò che è insopportabile: l’ingiusto avrebbe potuto

seguire la propria strada di nequizie, svincolato dalle aspirazioni e dalle pastoie del

virtuoso gemello; al giusto sarebbe stato dato altresì di procedere spedito e sicuro nel suo

nobile intento, compiendo quelle buone azioni che lo avessero gratificato, senza essere

più esposto alla gogna e al vituperio di un sordido compagno a lui estraneo. Era una

maledizione del genere umano che questo eteroclito guazzabuglio dovesse così

tenacemente tenersi avviluppato... che fin nel grembo tormentoso della coscienza questi

gemelli antitetici dovessero essere in perenne tenzone. Come fare, allora, a separarli? »

La questione non è tanto separarli, ma integrarli, far perdere a ciascuno quella perfezione che solo

nell’estremizzazione delle personalità diventa possibile ma che consente poi che si sviluppi la reciproca e terrificante ombra. Come nel moralista rigido e giudicante che coltiva passioni segrete e inconfessabili che alla fine lo travolgeranno perché è inutile, Hyde ha una forza superiore a Jakyll e può essere controllato non attraverso la sua negazione (meccanismo infantile e inefficace di difesa): la negazione delle parti istintuali, basse, emotive, quelle parti che socialmente,educativa- mente, relazionalmente, professionalmente viene insegnato di mettere da parte perché “non nobili”.
(...)
La storia del ranocchio e della principessa finiranno per trovare in questa perdita della
perfezione della seconda l’occasione per un riequilibrio determinato dalla crisi e

l’integrazione dell’altro come parte di sé passando dal ribrezzo dell’alterità

all’apprezzamento della stessa con, come avviene nel mondo fiabesco, la metamorfosi del

ranocchio in principe (per altro dopo lancio contro il muro). Il lupo si alza in piedi e porge la

zampa, il ranocchio diventa principe, insomma le ombre diventano compagni di viaggio,

possibili interlocutori di cui si ha consapevolezza e non furibondi selvaggi come Hide che

all’abbassamento del controllo della coscienza si scatenano proporzionalmente alla loro

patita repressione.

Spostarsi dall’unilateralità, aprirsi alle proprie parti in ombra, permettere di integrare,

elaborare, dialogare con le parti misconosciute ma presenti di sé sono alcuni dei punti su

cui si è lavorato per aiutare e avviare al lavoro di integrazione, quel lavoro che non porta

alla perfezione, ambizione pericolosa perché tende a escludere parti utili e importanti di

sé, ma alla completezza che rappresenta invece quel cammino interiore che ci rende

interlocutori credibili delle alterità che si incontrano sulla strada della vita.

lunedì 28 novembre 2011



Bene, mi dovrò adattare alla nuova piattaforma:

prima immagine: Linette.

martedì 8 novembre 2011

Io preparerei lo champagne, senza stappare, ancora, ma averlo qui pronto è un bel vedere :-)
Oggi giornata storica? Pare un bel giorno per un nuovo inizio.

lunedì 10 ottobre 2011



   



 
In un momento
Sono sfiorite le rose
I petali caduti
Perché io non potevo dimenticare le rose
Le cercavamo insieme
Abbiamo trovato delle rose
Erano le sue rose erano le mie rose
Questo viaggio chiamavamo amore
Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose
Che brillavano un momento al sole del mattino
Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi
Le rose che non erano le nostre rose
Le mie rose le sue rose

 
di Dino Campana