mercoledì 31 marzo 2010

Mantengo la mia promessa.


(e poi scriverò tra un po' la mia risposta alla De Cespedes)


Alba De Céspedes LETTERA A NATALIA GINSBURG


Mia carissima, voglio scriverti due parole appena finito di leggere il tuo articolo. E’ così bello e sincero che ogni donna, specchiandosi in esso, sente i brividi gelati nella schiena. Tuttavia, per un momento, avevo pensato di non pubblicarlo, temendo di commettere un’indiscrezione verso le donne nel rivelare questo loro segreto. Inoltre pensavo che gli uomini lo avrebbero letto distrattamente, o con la loro vena d’ironia, senza intuire l’accorata disperazione e il disperato vigore che è nelle tue parole, e avrebbero avuto una ragione di più per non capire le donne e spengerle ancora più spesso nel pozzo. Ma poi ho pensato che gli uomini dovrebbero infine tentare di capire tutti i problemi delle donne; come noi, da secoli, siamo sempre disposte a cercare di capire il loro. Ti dirò che nel pubblicare il tuo “discorso” ho dovuto vincere un senso istintivo di pudore: lo stesso, certo, che tu avrai dovuto vincere nello scriverlo. Poiché anch’io, come tutte le donne, ho grande e antica pratica  di pozzi: mi accade spesso di cadervi e vi cado proprio di schianto, appunto perché tutti credono che io sia una donna forte e io stessa, quando sono fuori dal pozzo, lo credo.


 Ma – al contrario di te- io credo che questi pozzi siano la nostra forza. Poiché ogni volta che cadiamo in un pozzo noi scendiamo alle più profonde radici del nostro essere umano, e nel riaffiorare portiamo in noi esperienze tali che ci permettono tutto quello che gli uomini- i quali non cadono mai nel pozzo- non comprenderanno mai.


 


 Nel pozzo sono pure le più dolorose e sublimi verità dell’amore, anzi, sono nel fondo più profondo di ogni pozzo, ma le donne, tutte le donne delle quali tu parli, vi crollano dentro così pesantemente da riuscire a toccarle.  E noi siamo spesso infelici in amore appunto perché vorremmo trovare un uomo che anche lui cadesse qualche volta nel pozzo e, tornando su, sapesse quello che noi sappiamo. Questo è impossibile, vero, cara Natalia?, e perciò è impossibile per noi veramente essere felici in amore. Ma quando si cade nel pozzo si sa anche che essere felici non è poi molto importante: è importante sapere tutto quello che si sa quando si viene su dal pozzo.


 


  Del resto- tu non lo dici ma certo lo pensi- sono sempre gli uomini a spingerci nel pozzo;magari senza volerlo. Ti è mai accaduto di cadere nel pozzo a causa di una donna? Escludi naturalmente le donne che potrebbero farci soffrire a causa di un uomo, e vedrai che, se vuoi essere sincera, devi rispondere di no. Le donne possono farci cadere nell’ira, nella cattiveria, nell’invidia, ma non potranno mai farci cadere nel pozzo. Anzi, poiché quando siamo nel pozzo noi accogliamo tutta la sofferenza a, che è fatta, prevalentemente, dalla sofferenza delle donne, siamo benevole con loro, comprensive, affettuose. Ogni donna è pronta ad accogliere e consolare un’altra donna che è caduta nel pozzo: anche se è una nemica. E gli uomini non solo ignorano l’esistenza di questi pozzi, e  tutto ciò che si impara quando si cade in essi, ma ignorano anche d’esser proprio loro a spingervi le donne con tanta spietata innocenza.


 


 Vedi, cara Natalia, proprio a proposito di questi pozzi io ho tanto insistito perché Maria Bassino, uno dei maggiori penalisti italiani, difendesse il diritto delle donne ad essere magistrati. Perché spesso è proprio nel fondo del pozzo che le donne uccidono, rubano, compiono insomma tutti quei gesti che le umiliano, soprattutto perché sono contrari al naturale rispetto che ogni donna deve a se stessa.


 


 


 Anche  i magistrati ignorano tutto ciò, perché i magistrati – appunto- sono uomini. E non giusto che le donne siano giudicate soltanto da chi non conosce come esse sono veramente, e perché agiscano in un modo piuttosto che in un altro, mentre gli uomini sono sempre giudicati da coloro che, per essere della loro stessa natura, sono i più adatti ad intenderli.


 


Chi scende nel pozzo conosce la pietà. E come si può vivere, agire, governare con giustizia senza conoscere la pietà?


  Tu dici che le donne non sono esseri liberi : e io credo invece che debbano soltanto acquisire la consapevolezza delle virtù di quel pozzo e diffondere la luce delle esperienze fatte al fondo di esso, le quali costituiscono il fondamento di quella solidarietà, oggi segreta e istintiva, domani consapevole e palese. Che si forma fra le donne anche sconosciute l’una all’altra. Del resto essere liberi dal dolore, dalla miseria umana, è veramente un privilegio? La superiorità  per una donna è proprio nella possibilità di finire su una panchina, come tu dici, in un giardino pubblico, anche se è ricca, anche se scrive o dipinge, anche se ha occhi belli, gambe belle, bocca bellissima. Anche se ha vent’anni. Perché neppure la gioventù dà alla donna la sicurezza che tanto spesso possiedono gli uomini, e che è solo ignoranza della reale condizione umana.


  Scusa, mia cara, questa lunga lettera. Ma volevo dirti che, a parer mio, le donne sono esseri liberi. E, tra l’altro, volontariamente accettano di essere spinte nel pozzo; delle sofferenze che esse patiscono nel pozzo vorrei parlarti a lungo, perché tutte le sofferenze sono nella vita delle donne; ma allora, per essere perfettamente onesta, dovrei anche parlarti di tutte le gioie che esse trovano in loro.


  E di questo non posso parlarti oggi perché mi  trovo- come spesso- nel pozzo.


 Ti abbraccio, cara.


 

HELP!!!!


su facebook ho trovato questa fotografia: in questo mercato di freschissimi  acquisti ci sono anche cose comprate da mia figlia Fiammetta....ma quanto mi sei andata a spendere in soli due giorni ragazza??


martedì 30 marzo 2010

...io mangio tante mele quando sono agitata



Singapore vado a Singapore! ahahah evviva i concorsi, in particolare quelli che si vincono!


troverò ehm...qualcuno che verrà insieme e mi terrà la manina durante il volo? Si accettano candidature;)


domenica 28 marzo 2010

Magari passa di qua, la mia adorabile figlia a N.Y


http://www.earthcam.com/usa/newyork/timessquare/


(Sppiate che una mamma è capace di crederci, al miracolo di vederla apparire improvvisamente sotto l'occhio vigile della web cam, e ho già pensato che la chiamerò subitissimo sul cellulare per dirle estasiata ti ho vista, ti ho vista, mia bella figlia, sei vestita così e così, vai a mangiare perô adesso capito?! Anna Magnani, praticamente, eh sì...)

sabato 27 marzo 2010

A MIA FIGLIA E ALLE SUE AMICHE, E ALLE MIE AMICHE, E A ME.


E AGLI UOMINI CHE HANNO DESIDERIO DI CAPIRE.


 Ho già parlato di questo scritto della Ginsburg nel mio blog, ma è passato tanto tempo...



 NATALIA GINSBURG : da" Discorso sulle donne"


   L’altro giorno m’è capitato fra le mani un articolo che avevo scritto subito dopo la liberazione e ci sono rimasta un po’ male. Era piuttosto stupido:quel mio articolo parlava delle donne in genere, e diceva delle cose che si sanno, diceva che le donne non sono poi tanto peggio degli uomini e possono fare anche loro qualcosa di buono se ci si mettono, se la società le aiuta, e così via. Ma era stupido perché non mi curavo di vedere come le donne erano davvero: le donne di cui parlavo allora erano donne inventate, niente affatto simili a me o alle donne che m’è successo di incontrare nella mia vita; così come ne parlavo pareva facilissimo tirarle fuori dalla schiavitù e farne degli esseri liberi.


  E invece avevo tralasciato di dire una cosa molto importante: che le donne hanno la cattiva abitudine di cascare ogni tanto in un pozzo, di lasciarsi prendere da una tremenda malinconia e affogarci dentro, e annaspare per tornare a galla: questo è il vero guaio delle donne. Le donne spesso si vergognano d’avere questo guaio, e fingono di non avere guai e di essere energiche e libere, e camminano a passi fermi per le strade con bei vestiti e bocche dipinte e un’aria volitiva e sprezzante.


   M’è successo di scoprire proprio nelle donne più energiche e sprezzanti qualcosa che mi indiceva a commiserarle e che capivo molto bene perché ho anch’io  la stessa sofferenza da tanti anni e soltanto da poco tempo ho capito che proviene dal fatto che sono una donna e che mi sarà difficile liberarmene mai. Ho conosciuto moltissime donne, donne tranquille e donne non tranquille, ma nel pozzo ci cascano anche le donne tranquille: tutte cascano nel pozzo ogni tanto. Ho conosciuto donne che si trovano molto brutte e donne che si trovano molto belle, donne che riescono a girare i paesi e donne che non ci riescono, donne che hanno mal di testa ogni tanto e donne che non hanno mai mal di testa, donne che hanno tanti bei fazzoletti e donne che non hanno mai fazzoletti o se li hanno li perdono, donne che hanno paura d’essere troppo grasse e donne che hanno paura d’essere troppo magre, donne che zappano tutto il giorno in un campo e donne che spezzano la legna sul ginocchio e accendono il fuoco e fanno la polenta e cullano il bambino e lo allattano e donne che s’annoiano a morte e frequentano corsi di storia delle religioni e donne che s’annoiano a morte e portano il cane a passeggio e donne che s’annoiano a morte e tormentano chi hanno sottomano, e donne che escono il mattino con le mani viola dal freddo e una sciarpetta intorno al collo e donne che escono al mattino muovendo il sedere e specchiandosi nelle vetrine e donne che hanno perso l’impiego e si siedono a mangiare un panino su una panchina del giardino della stazione e donne che sono state piantate da un uomo e si siedono su una panchina del giardino della stazione e s’incipriano un po’ la faccia.


   Ho conosciuto moltissime donne, e adesso sono certa di trovare in loro dopo un poco qualcosa che è degno di commiserazione, un guaio tenuto più o meno segreto, più o meno grosso: la tendenza a cascare nel pozzo e trovarci una possibilità di sofferenza sconfinata che gli uomini non conoscono forse perché sono più forti di salute o più in gamba a dimenticare se stessi e a identificarsi con lavoro che fanno, più sicuri di sé e più padroni del proprio corpo e della propria vita e più liberi. Le donne incominciano nell’adolescenza a soffrire e a piangere in segreto nelle loro stanze, piangono per via del loro naso o della loro bocca o di qualche parte del loro corpo che trovano che non va bene , o piangono perché pensano che nessuno le amerà mai o piangono perché hanno paura di essere stupide o perché hanno pochi vestiti; queste sono le ragioni che danno a loro stesse ma sono in fondo solo dei pretesti e in verità piangono perché sono cascate nel pozzo e capiscono che ci cascheranno spesso nella loro vita e questo renderà loro difficile combinare qualcosa di serio.


  Le donne pensano molto a loro stesse e ci pensano in modo doloroso e febbrile che è sconosciuto a un uomo. Le donne hanno dei figli, e quando hanno il primo bambino comincia in loro una specie di tristezza che è fatta di fatica e di paura e c’è sempre anche nelle donne più sane e tranquille. E’ la paura che il bambino si ammali o è la paura di non avere denaro abbastanza per comprare tutto quello che serve al bambino, o è la paura d’avere il latte troppo grasso o d’avere il latte troppo liquido, è il senso di non poter più girare tanto i paesi se prima si faceva o è il senso di non potersi più occupare di politica o è il senso di non poter più scrivere o di non poter più dipingere come prima o di non poter più fare delle ascensioni in montagna per via del bambino, è il senso di non poter disporre della propria vita , è l’affanno di doversi difendere dalla malattia e dalla morte perché la salute e la vita della donna è necessaria al suo bambino.


   Le donne sono una stirpe disgraziata e infelice con tanti secoli di schivatù sulle spalle e quello che devono fare è difendersi dalla loro malsana abitudine di cascare nel pozzo ogni tanto, perchè un essere libero non casca quasi mai nel pozzo e non pensa così sempre a se stesso ma si occupa di tutte le cose importanti e serie che ci sono al mondo e si occupa di se stesso soltanto per sforzarsi di essere ogni giorno più libero. Così devo imparare a fare anch'io per la prima perchè se no certo non potrò combinare niente di serio e il mondo non andrà mai avanti bene finchè sarà così popolato d'una schiera di esseri non liberi.


Il mondo nel frattempo un po', almeno un po' è andato avanti, cara Natalia. La risposta di Alba De Cespedes - necessaria continuazione del discorso di Natalia Ginsbug- nella prossima puntata:-)

mercoledì 24 marzo 2010

È così che io dialogo con il tempo.


Me lo porto dentro tutto, presente e futuro e passato, e non sempre mi è facile decifrarlo. Ricordi Vera la capannina? Io vado lì per un po', e guardo il mio film al rallentatore, fotogramma dopo fotogramma. Chissà che non riesca a capire qual è la strada che sto percorrendo ora. Una strada? O sono ad un punto di intersezione che ha  coordinate del tutto  nuove, e ancora indecifrabili? Non sapere. È forse in assoluto lo stato d'animo (solo apparentemente senza appoggio) che più di tutti gli altri fa crescere, e mi porta altrove, nel mio bellissimo viaggio.


Ural ( Urali ) - Sibir 2

domenica 21 marzo 2010


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


Ecco qua, indovinate qual è la mia parte di libreria e quale è del mio marito di giorno Giacomo :-)

CRONACA, PREDICHE, LETTERE E BRUTTE STORIE


da micromega


Pedofilia, il papa predica bene e ratzola male





di Vania Lucia Gaito, da viaggionelsilenzio.ilcannocchiale.it

Fa specie sentire il portavoce del Vaticano, padre Federico Lombardi, parlare di tentativi accaniti di "coinvolgere personalmente il Santo Padre nella questione degli abusi" e dello scandalo della pedofilia. Non me ne voglia, padre Lombardi, ma non c'è bisogno di tentativi, i fatti parlano da soli, basta metterli in fila. A cominciare dal principio, sgomberando il campo dalle chiacchiere.

Il fatto che gli ecclesiastici abbiano pruriti pedofili fin dalla notte dei tempi non c'è bisogno di inventarselo, lo dice un papa, per la precisione Leone X, e lo dice in un atto ben conosciuto, la Taxa Camerae, un documento vergognoso che, ad onta del Vangelo che condanna la simonia come peccato imperdonabile, promette il perdono in cambio di denaro.
I primi due dei 35 articoli di cui si compone la Taxa Camerae riguardano proprio gli ecclesiastici e i loro "peccati", in particolare il secondo articolo:
"Se l’ecclesiastico, oltre al peccato di fornicazione chiedesse d’essere assolto dal peccato contro natura o di bestialità, dovrà pagare 219 libbre, 15 soldi. Ma se avesse commesso peccato contro natura con bambini o bestie e non con una donna, pagherà solamente 131 libbre, 15 soldi."
Correva l'anno 1517. Poco meno di cinquecento anni fa. E la Chiesa già sapeva. Solo che fa più comodo, adesso, contare sulla memoria fallace o sulla non conoscenza di chi ascolta le chiacchiere dei vari portavoce.

Ho cominciato da troppo lontano? Veniamo ai giorni nostri, allora.
Nel 1962 il cardinale Ottaviani redige un documento noto come Crimen Sollicitationis. Questo documento, prescrive ai vescovi come comportarsi quando un sacerdote viene denunciato per pedofilia. Nel documento c'è scritto, in stampatello e ben evidente: "Servanda diligenter in archivio secreto curiae pro norma interna. Non publicanda nec ullis commentariis augenda", che vuol dire "Da conservare con cura negli archivi segreti della Curia come strettamente confidenziale. Da non pubblicare, né da integrare con alcun commento"

Il Crimen, in pratica, stabiliva una serie di norme da seguire nei casi di pedofilia clericale. Il processo canonico al sacerdote accusato era un processo diocesano, e a condurlo era il vescovo della diocesi cui il sacerdote apparteneva. Il Crimen va analizzato e "studiato" con cura, poichè è il vademecum che hanno seguito sempre i vescovi nei casi di pedofilia clericale. E fin dal principio risulta chiaro che la stessa esistenza del documento deve essere mantenuta segreta. Perchè?

Analizzando il testo nel dettaglio se ne comprende perfettamente il motivo. Intanto viene definito cosa intendere come peccato di provocazione: "Il crimine di provocazione avviene quando un prete tenta un penitente, chiunque esso sia, nell’atto della confessione, sia prima che immediatamente dopo, sia nello svolgersi della confessione che col solo pretesto della confessione, sia che avvenga al di fuori del momento della confessione nel confessionale, che in altro posto solitamente utilizzato per l’ascolto delle confessioni o in un posto usato per simulare l’intento di ascoltare una confessione." Insomma, praticamente sempre.

Un'altra prerogativa del Crimen è quella di accomunare l'abusatore all'abusato: entrambi peccatori per aver "fornicato", anche se l'abusato è stato circuito, plagiato, e, in molti casi, violentato. Nel testo, infatti, (art.73, pag.23 del documento in latino) parlando di "crimine pessimo", intendendo l'abuso di un bambino o gli atti sessuali con un animale (perchè la Chiesa continua a paragonare, accomunare ed equiparare i bambini agli animali, come ai tempi della Taxa Camerae, a meno che il bambino non sia ancora nato e lì allora la sua vita diventa sacra e inviolabile), si legge che tale peccato è commesso dal sacerdote "cum impuberibus", cioè "con" il bambino, non "contro". Perchè, prima di tutto, viene la condanna del sesso, anche quando è fatto contro la propria volontà; poi tutto il resto.

Nei 74 articoli di cui è composto il Crimen, si impartiscono direttive precise. Quella più pressante riguarda sicuramente la segretezza, di cui tutto il documento è imbevuto. Ma cosa prescrive il Crimen? Fondamentalmente questo: coprire, celare, trasferire. L'articolo 4 dice infatti che non c’è nulla che impedisca ai vescovi "se per caso capiti loro di scoprire uno dei loro sottoposti delinquere nell’amministrazione del sacramento della Penitenza, di poter e dover diligentemente monitorare questa persona, ammonirlo e correggerlo e, se il caso lo richiede, sollevarlo da alcune incombenze. Avranno anche la possibilità di trasferirlo, a meno che l’Ordinario del posto non lo abbia proibito perché ha già accettato la denuncia e ha cominciato l’indagine." Quindi, se si sa che il sacerdote è un pedofilo ma non è stato aperto un processo canonico a suo carico, non c'è nulla che impedisca al vescovo di trasferirlo.

E se invece c'è una denuncia al vescovo? Prima di tutto, la segretezza. Viene fatto giurare a tutti (esistono formule apposite, riportate nel Crimen) di mantenere il segreto, sotto pena di scomunica. Devono mantenere il segreto i membri del tribunale diocesano che "indagano" sulla denuncia, deve mantenere il segreto l'accusato e devono mantenere il segreto anche gli accusatori e i testimoni, pena la scomunica immediata, ipso facto e latae sententiae. Sì, certo, anche la vittima ed eventuali testimoni: "Il giuramento di segretezza deve essere in questi casi fatto fare anche all'accusatore o a quelli che hanno denunciato il prete o ai testimoni." (Crimen sollicitationis, art. 13, pag. 8 del testo in latino)

"Prometto, mi obbligo e giuro che manterrò inviolabilmente il segreto su ogni e qualsiasi notizia, di cui io sia messo al corrente nell'esercizio del mio incarico, escluse solo quelle legittimamente pubblicate al termine e durante il procedimento" recita la formula A del Crimen. Tuttavia, all'articolo 11 viene specificato che tale silenzio deve essere perpetuo: "Nel trattare queste cause la cosa che deve essere maggiormente curata e rispettata è che esse devono avere corso segretissimo e che siano sotto il vincolo del silenzio perpetuo una volta che si siano chiuse e mandate in esecuzione. Tutti coloro che entrino a far parte a vario titolo del tribunale giudicante o che vengano a conoscenza dei fatti per la propria posizione devono osservare il rispetto più assoluto del segreto - che dev’essere considerato come segreto del Santo Uffizio - su tutti i fatti e le persone, pena la scomunica ‘lata sententiae’ ‘ipso facto’ e senza nessuna menzione sulla motivazione della scomunica che spetta al Supremo Pontefice, e sono obbligati a mantenere l’inviolabilità del segreto senza eccezione nemmeno per la Sacrae Poenitentiariae."

Tutto questo si è tradotto per decenni in una prassi vergognosa che includeva il trasferimento dei preti pedofili di parrocchia in parrocchia e la richiesta alle vittime di mantenere il segreto, magari tacitandole con piccole somme, sapendo che in molti casi le vittime venivano da ambienti già disagiati e mai avrebbero affrontato la vergogna e le spese di una denuncia alle autorità civili.
Una volta concluso il processo diocesano, se c'erano prove sufficienti a condannare il prete pedofilo (e, caso strano, pare non si siano quasi mai trovate), gli atti dovevano essere trasmessi, sempre in totale segretezza, all'allora Santo Uffizio, poi divenuto Congregazione per la Dottrina della Fede. In caso non ci fossero prove sufficienti, gli atti dovevano invece essere distrutti.
Ma come mai così poche condanne da parte dei tribunali diocesani? Anche qui, il Crimen detta prescrizioni precise. Innanzitutto, a decidere se la denuncia è fondata o meno è l'ordinario diocesano, cioè il vescovo. Inoltre il documento prescrive: "Se comunque ci sono indicazioni di un crimine abbastanza serie ma non ancora sufficenti a instituire un processo accusatorio, specialmente quando solo una o due denunce sono state fatte, o quando invece il processo è stato tenuto con diligenza, ma non sono state portate prove, o queste non erano sufficienti, o addirittura si sono trovate molte prove ma con procedure incerte o con procedure carenti, l'accusato dovrebbe essere ammonito paternamente, seriamente, o ancora più seriamente secondo i diversi casi, secondo le norme del Canone 2307 [...] gli atti, come sopra, dovrebbero essere tenuti negli archivi e nel frattempo dovrebbe essere fatto un controllo morale sull'accusato."
Chi decide se le prove sono consistenti e sufficienti? Sempre l'ordinario diocesano.

Il Crimen prescrive anche cosa fare nel caso in cui il sacerdote sia stato ammonito ma il vescovo riceve nuove denunce contro di lui: "Se, dopo la prima ammonizione, arrivano contro lo stesso soggetto altre accuse riguardanti crimini di provocazione precedenti l’ammonizione, l’Ordinario dovrebbe vedere, secondo la propria coscienza e giudizio, se la prima ammonizione può essere considerata sufficiente o se procedere a una nuova ammonizione oppure ad eventuali misure successive."

Con queste premesse, è ovvio che siano in pochissimi i sacerdoti condannati dai tribunali diocesani: i vescovi si limitavano ad ammonire e trasferire, molto spesso solo a trasferire. E la tutela dei bambini? Mai presa in considerazione.

A fare un bilancio della situazione a posteriori, il Crimen non è servito in alcun modo ad arginare il problema della pedofilia clericale, è stato invece utile alla Chiesa a "lavare i panni sporchi in famiglia". Solo che, con l'andare del tempo, i panni sporchi sono aumentati in maniera sproporzionata. La politica dello struzzo non paga mai, e in questo caso si è dimostrata letale. Negli anni, infatti, gli abusi non sono diminuiti, anzi, il problema si è incancrenito e le vittime sono diventate migliaia.

Non è neppure lontanamente credibile la professione di ignoranza fatta da vescovi e prelati chiamati a rispondere nei tribunali penali, e non diocesani, del loro operato. E sono sempre i fatti a smentirli. Primo fra tutti l'esistenza di una congregazione religiosa dedicata esclusivamente alla cura dei sacerdoti: i Servi del Paraclito. Poco nota, se non agli "addetti ai lavori", la congregazione dei Servi del Paraclito viene fondata nel 1942 dal sacerdote statunitense Gerald Fitzgerald, a Jemez Springs (Nuovo Messico), con lo scopo di dedicarsi all'assistenza ai sacerdoti in particolare condizioni giuridiche e morali.
Inizialmente, arrivavano a Jemez Springs soprattutto sacerdoti con problemi di alcolismo, ma dal 1965 i Servi del Paraclito cominciarono a trattare anche i sacerdoti pedofili. Con scarsissimi, se non nulli, risultati. Lo stesso fondatore, che dal principio si era opposto alla possibilità di accogliere preti con tali problematiche, fin dagli anni cinquanta inviò numerose lettere a vescovi, arcivescovi ed esponenti della Curia Romana in cui faceva presente la necessità di allontanare dal sacerdozio i preti coinvolti in casi di pedofilia. In una di queste lettere, indirizzata anche al cofondatore della congregazione, scriveva:

"Reverendissimo e Carissimo Arcivescovo,
Carissimo cofondatore

Spero che Sua Eccellenza sia d'accordo e approvi quello che io considero una decisione vitale, da parte nostra: per prevenire uno scandalo che potrebbe danneggiare il buon nome di Via Coeli, non offriremo ospitalità ad uomini che abbiano sedotto o tentato di sedurre, bambini o bambine. Eccellenza, questi uomini sono diavoli e l'ira di Dio ricade su di essi e, se io fossi un vescovo, tremerei se non facessi rapporto a Roma per chiedere la loro forzata riduzione allo stato laicale. E' blasfemo lasciare che celebrino il Santo Sacrificio. Se i singoli vescovi fanno pressione su di lei, Eccellenza, può dire loro che l'esperienza ci ha insegnato che questi uomini sono troppo pericolosi per i bambini della parrocchia e per il vicinato, sicchè siamo giustificati nel nostro rifiuto di accoglierli qui. Sua Eccellenza può inoltre dire, se lo desidera, che non intende interferire con la regola che l'esperienza ha dettato.
Proprio per queste serpi ho sempre auspicato il ritiro su un'isola, ma anche un'isola è troppo per queste vipere di cui il Gentile Maestro ha detto che sarebbe stato meglio se non fossero mai nati; il che è un modo indiretto di maledirli, non crede?
Quando vedrò il santo padre, dirò a Sua Santità che devono essere ridotti ipso facto allo stato laicale, immediatamente."

Inutile dire come andò a finire: la politica dello struzzo prevalse e la congregazione accolse i preti pedofili per quello che, caritatevolmente, può essere definito un tentativo di cura. Un caso fra tutti può essere esemplificativo: padre James Porter arrivò a Jemez Springs nel 1967, dopo essere stato destituito da tre incarichi, ogni volta per problemi di pedofilia. Eppure, padre John B. Feit, superiore dei Servi del Paraclito, scrisse per lui accorate lettere di raccomandazione che gli fecero ottenere, alla fine del "trattamento" una diocesi nel Minnesota, dove, appena arrivato, ricominciò gli abusi.
In realtà, Jemez Springs divenne nota come "il carcere dei preti" e funzionò come un "parcheggio" per i sacerdoti su cui pendevano denunce di abusi. Nel 1994, la congregazione dovette chiudere l'esperimento di riabilitazione dei preti pedofili: 17 preti furono coinvolti nel '91, in 140 cause per abusi sessuali e la Curia pagò 50 milioni di dollari in accordi stragiudiziali.

Identica politica fu seguita dalla Chiesa ogni qualvolta fu messa di fronte alla problematica della pedofilia clericale. Nel maggio 1985 a tutti i vescovi statunitensi fu consegnato un documento noto come "Il manuale", redatto da due preti e un avvocato: padre Michael Peterson, psichiatra della clinica di S. Luke, il domenicano canonista padre Thomas Doyle e l’avvocato Ray Mouton. Il manuale analizza il problema della pedofilia clericale e le conseguenze, economiche e morali, per la chiesa cattolica. Fornisce direttive per affrontare il problema, ma viene totalmente ignorato. Il risultato anche in questo caso è evidente: milioni di dollari in risarcimenti, diocesi in fallimento o prossime alla bancarotta, un drastico calo di fedeli e soprattutto delle loro generose donazioni.

Lo scandalo, venuto a galla negli Stati Uniti, è solo l'inizio. Altrettanti scandali travolgono l'Australia, il Sudamerica, il Messico, il Canada, l'Alaska, la Polonia, l'Irlanda, la Spagna, l'Inghilterra, la Germania, l'Olanda e moltissimi paesi africani. Una vergogna dietro l'altra, si svelano i retroscena di sacerdoti che hanno molestato, abusato, violentato decine di bambini, alcuni piccolissimi.

Così, nel 2001, il cardinale Joseph Ratzinger, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede dal 25 novembre 1981 fino alla sua nomina al soglio pontificio, promulgò un epistola nota come De Delictis Gravioribus o come Ad exsequandam. In essa richiamava il Crimen sollicitationis e avocava un diretto controllo, da parte della Congregazione per la Dottrina della Fede, sui "crimini più gravi", compresi gli abusi sui minori.
Per quella lettera, il cardinale Ratzinger fu citato in giudizio dall'avvocato Daniel Shea davanti al tribunale dalla Corte distrettuale della contea di Harris (Texas), dove fu accusato di "ostruzione alla giustizia". Secondo l'accusa, infatti, il documento della Congregazione avrebbe favorito la copertura di prelati coinvolti nei casi di molestie sessuali ai danni di minori negli Stati Uniti. Nel febbraio 2005 fu emanato dalla corte un ordine di comparizione per il cardinale Joseph Ratzinger. Il 19 aprile 2005, il cardinale Ratzinger fu eletto papa e i suoi legali negli Stati Uniti si rivolsero al Dipartimento di Stato chiedendo l'immunità diplomatica per il loro assistito. L'Amministrazione Bush acconsentì e Joseph Ratzinger fu esonerato dal processo.

Tuttavia, anche non tenendo conto di questo "incidente di percorso", sorgono naturali molti interrogativi sull'operato di Ratzinger come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. E, altrettanto naturali, sorgono molti dubbi sulla sua "presa di posizione" drastica e rigorosa nei confronti della pedofilia clericale.
Che fosse ben informato di quanto fosse grave e profonda la piaga degli abusi fra il clero lo afferma lo stesso Ratzinger, nella memorabile nona stazione della Via Crucis del 2005, quando sostituì Giovanni Paolo II ormai morente: "Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a lui!"

E tuttavia, pur consapevole della "sporcizia", il Prefetto non si armò mai di ramazza per far pulizia. Anzi, in molti casi "celebri" la Congregazione fu assurdamente lenta e le vittime dovettero ricorrere ai giornali per avere almeno una parvenza di giustizia.
Il caso più tristemente famoso è senza dubbio quello che riguarda il fondatore dei Legionari di Cristo, Marcial Maciel Degollado. Il Vaticano era a conoscenza di molte ombre sull'operato del sacerdote, fin dal 1956, quando il cardinale Valeri lo trovò nella clinica romana Salvator Mundi molto malridotto per l'abuso di morfina. Tuttavia, i procedimenti a carico del fondatore dei Legionari di Cristo non ebbero mai alcun esito, neppure quando, nel 1978 l´ex presidente dei Legionari negli Stati Uniti, Juan Vaca, con un esposto a papa Giovanni Paolo II, accusò Maciel di comportamenti peccaminosi con lui quand´era ragazzo. Nel 1989 Vaca ripresenta a Roma le sue accuse. Senza risposta, sebbene Ratzinger fosse già dal 1981 a capo dell'ex Santo Uffizio. A febbraio del 1997 con una denuncia pubblica, otto importanti ex Legionari accusano Maciel di aver abusato di loro negli anni Cinquanta e Sessanta.
Nel 1998, il 17 ottobre, due degli otto accusanti, Arturo Jurado Guzman e José Barba Martin, accompagnati dall´avvocato Martha Wegan, incontrano in Vaticano il sottosegretario della Congregazione vaticana per la dottrina della fede, Gianfranco Girotti, e chiedono la formale apertura di un processo canonico contro Maciel. Il 31 luglio del 2000 Barba Martin, assieme all’avvocato Wegan, incontra di nuovo in Vaticano monsignor Girotti. Ma sempre senza alcun risultato.
Finchè, nel 2006, appena cinquant'anni dopo le prime denunce, finalmente la Congregazione per la Dottrina della Fede prende una risoluzione esemplare: invita padre Maciel a ritirarsi ad una vita di preghiera e meditazione. Oggi, a distanza di pochi anni, continuano a spuntare scandali che riguardano Maciel e i Legionari, come la presenza (accertata) di una figlia in Spagna, frutto di una violenza ad una minorenne, diversi presunti figli in Messico, dei quali, tra l'altro, non si sarebbe fatto scrupolo di abusare. Insomma, il Vaticano ha aperto un'inchiesta. Molto rassicurante.

Stessa sorte subita, più o meno, da procedimenti a carico di sacerdoti italiani. Celebre il caso di don Cantini in Toscana, per esempio. Stranamente, la Congregazione guidata da Ratzinger ha sempre impiegato decenni ad indagare sui sacerdoti pedofili, soprattutto quando si trattava di sacerdoti influenti, salvo poi scoprire che, a causa del tempo trascorso, il delitto era caduto in prescrizione. Ad onor del vero, c'è da dire che in alcuni casi sono anche state comminate condanne da far tremare i polsi: litanie alla Madonna, rosari, perfino divieto di celebrare messa in pubblico. Se non è "tolleranza zero" questa...

Poi viene fuori che il fratello del papa distribuiva scapaccioni ai membri del coro da lui diretto e che sapeva che il rettore dell'Internat, il convitto in cui i coristi vivevano, li picchiava sistematicamente, con durezza e spesso persino senza alcun motivo che potesse spingerlo a decidere una punizione. E tuttavia non aveva mai fatto nè detto nulla perchè, essendo il convitto un'istituzione indipendente, non aveva il potere di denunciarlo. Certo, perchè serve "essere autorizzati" per denunciare violenze e abusi. Non basta l'amore per il prossimo, quello per cui Cristo s'è fatto mettere in croce. Non basta il senso di giustizia, non basta il desiderio di tutelare i bambini. Salvo poi scusarsi, vent'anni, trent'anni dopo, e solo dopo che si è sollevato lo scandalo. Questo desiderio di scusarsi come mai non è mai stato avvertito prima che l'ex direttore del coro finisse nell'occhio del ciclone e sulle pagine dei giornali?

Senza parlare delle prese di posizione nettissime di papa Ratzinger. Un esempio? Il suo ultimo viaggio negli Stati Uniti, nel corso del quale, tra i festeggiamenti del suo compleanno con Bush alla Casa Bianca e la visita a Ground Zero, il Papa ha sostenuto l'inconciliabilità tra il sacerdozio e la pedofilia. Praticamente la scoperta dell'acqua calda.

Senza contare che in quella visita non era stato neppure previsto un incontro con le vittime. Ratzinger fu spinto dall'opinione pubblica e dai media americani ad un incontro estemporaneo con quello che i giornali italiani hanno caritatevolmente definito "un gruppo di vittime": cinque persone ricevute in piedi, meno di mezz'ora in tutto, nella cappella privata della nunziatura apostolica di Washington. Contemporaneamente, però, ospiti del papa durante quel viaggio sono stati tre vescovi celebri per aver coperto i preti pedofili: il cardinale Egan e il cardinale Mahony, che sono stati gli anfitrioni di

Ratzinger durante i giorni trascorsi a New York, e il cardinale Francis George, che ha accolto il papa a Washington.
Dunque, fuori dalle chiacchiere e dai proclami, i fatti, nudi e crudi, parlano da soli.
E' questa la "tolleranza zero" di cui il Vaticano fa tanto parlare?

(17 marzo 2010)

domenica 7 marzo 2010

OMAGGIO A FLOR


(ma in cambio mi rilascerai finalmente un'intervista?)