MOSTRUOSITA'
Si vuole sapere, si vuole capire, ma si vorrebbe non sapere, non immaginare, non ammettere che al mondo esista il Male, e che questo Male così disumano e incomprensibile possa prendere di mira una bambina di cinque anni che voleva soltanto recarsi in piscina a riprendere una cosa dimenticata, e voleva poi naturalmente subito rientrare a casa, la sua casa vicina alla piscina, alla piscina piena di bambini che ridono vicino all’asilo dei bambini che ridono. Una bambina che a casa non è più tornata. Una casa, una bambina, una mamma che non la vede ritornare, un piccolo tranquillo villaggio svizzero immerso nel verde e nella calma, dove tutto è sempre armoniosamente ordinato e a posto, dove tutti si sentono al sicuro “per diritto e per nascita” e dove improvvvisamente scatta l’allarme come un urlo: la bambina è scomparsa, la bambina è stata forse rapita. Poi la certezza. Poi il sospetto che qualcuno le abbia fatto del male, poi la verità che si fa strada soltanto quando è evaporata l’ultima goccia di una speranza che sin dai primissimi istanti lo si sente che è bugiarda. E allora ci si attacca quasi morbosamente alla cronaca, e lo facciamo volendo o no, tutti. Al dovere di cronaca da una parte, al bisogno di cronaca dall’altra, il più possibile ad una cronaca etica e rispettosa, ma bastano pochi giorni e ne parlano tutti. In parte per sapere e riflettere, in parte per non lasciare soli nel dolore i famigliari, in parte perché ci tuffiamo in un rassicurante copione lenitivo fatto di aggettivi e di sospiri e di indignazione e speriamo che bastino, tante parole, per non avvicinarci troppo all’angoscia mostruosa di chi non può allontanare da sé un torrente furioso di immagini terribili, di urla d’aiuto che nessuno ha udito, che nessuno ha consolato.