Ricevo da un amico questo racconto.
Il futuro dei miei
di Alessandro Ghebreigziabiher*
in “Cem-mondialità” del novembre 2008
Su una nave. In mare. Da qualche parte.
«Zio Amadou?». «Sì?». «Mi Senti?». «Sì che ti sento...». «Ma non mi guardi».
L'uomo si volta verso il nipote. Il ragazzino, poco più di sei anni, lo osserva dubbioso, tuttavia si
fida e riattacca: «Zio, tu conosci bene l'italiano?». «Certo, sono stato già due volte in Italia».
«Conosci tutte le parole?». «Sicuro Ousmane».
Il nipote si guarda in giro come se avesse timore di essere sentito da altri, e arriva al sodo: «Cosa
vuoi dire extracomunitario?».
L'uomo, alto e magro, sui trent'anni ha la barba che gliene aggiunge almeno una decina. Non appena
sente l'ultima parola del bambino, si gira e fissa i propri occhi nei suoi. Trascorre un breve istante
che sembra un'eternità in un viaggio in cui è in gioco la vita.
«Extracomunitario dici?» ripete sorridendo lo zio Amadou: «è una bellissima parola. I comunitari
sono quelli che vivono tutti nella stessa comunità, come gli italiani, extracomunitario è qualcuno
che viene da lontano a portare qualcosa in più».
«E questo qualcosa in più è una cosa bella?». «Certamente!» - esclama Amadou - «Tu ed io, una
volta giunti in Italia, diventeremo extracomunitari. Io lo sono così così, ma tu sei di sicuro una persona
bella, bellissima».
L'uomo riprende a far correre lo sguardo sulla superficie dell'acqua, ma Ousmane gli chiede ancora:
«Cosa vuoi dire immigrato?». Lo zio risponde subito: «Immigrato è una parola ancora più bella di
extracomunitario. Devi sapere che, quando noi extracomunitari arriveremo in Italia e
incominceremo a vivere lì, diventeremo degli immigrati». «Anch'io?». «Sì, anche tu. Un bambino
immigrato. Sei anche extracomunitario, cioè qualcuno che porta alla comunità qualcosa di più bello,
tutti gli italiani ci diranno grazie, cioè ci saranno grati. Da cui, immi-grati. Chiaro?».
«Chiaro zio. Prima extracomunitari e poi immigrati». «Bravo» approva soddisfatto Amadou e
ritorna a guardare il mare.
Poco dopo il bambino richiama ancora la sua attenzione. «Zio...». «Sì?» fa l'uomo voltandosi
paziente per l'ennesima volta. «E cosa vuoi dire clandestino?».
Questa volta Amadou compie un enorme sforzo per sorridere e gli dice: «Clandestino. Sai questa è
la parola più importante. Noi extracomunitari, prima di diventare immigrati, siamo dei clandestini. I
comunitari che incontrerai molto probabilmente ancora non lo sanno che tu hai qualcosa in più di
bello e qualcuno di loro potrà insinuare il contrario. Tu non credere a queste persone. Per quante
persone possano negarlo tu sei qualcosa di più bello e lo sai perché? Perché tu sei un clan-destino.
Tu sei il destino del tuo clan, cioè della tua famiglia. Tu sei il futuro».
Amadou riprende ad osservare il mare. Ousmane finalmente si volta a guardare le onde. Il suo
sguardo punta verso l'orizzonte: «Sono il futuro dei miei» pensa il bambino con orgoglio e
commozione.
Chi può essere così ingenuo da pensare di poterlo fermare?
*ALESSANDRO GHEBREIGZIABIHER, scrittore e narratore teatrale, è nato a Napoli nel 1968 e attualmente vive a Roma. Tra le opere pubblicate, Tramonto (Lapis Edizioni, 2002), Mondo giovane (La Ginestra Editrice, 2006), Il poeta, il santo e il navigatore (Fermento Editore, 2006), Lo scrigno cosmopolita (La Ginestra Editrice, 2007), Tra la terra e l'acqua (Zampanera Editore, 2008) e L'intervallo (Intermezzi Editore, 2008). Dal 2003 è possibile leggere alcuni suoi testi sulla rivista Carta e dal 2008 scrive di teatro per conto della società Nanopublishing di Londra. Nel 2005 ha ideato il Laboratorio interculturale di narrazione teatrale e dal 2006 è il direttore artistico della Rassegna di narrazione teatrale Il dono della diversità.