venerdì 17 giugno 2005

Natalia Ginsburg



Discorso sulle donne






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L’altro giorno m’è capitato fra le mani un articolo che avevo scritto subito dopo la liberazione e ci sono rimasta un po’ male. Era piuttosto stupido:quel mio articolo parlava delle donne in genere, e diceva delle cose che si sanno, diceva che le donne non sono poi tanto peggio degli uomini e possono fare anche loro qualcosa di buono se ci si mettono, se la società le aiuta, e così via. Ma era stupido perché non mi curavo di vedere come le donne erano davvero: le donne di cui parlavo allora erano donne inventate, niente affatto simili a me o alle donne che mm’è successo di incontrare nella mia vita; così come ne parlavo pareva facilissimo tirarle fuori dalla schiavitù e farne degli esseri liberi. E invece avevo tralasciato di dire una cosa molto importante: che le donne hanno la cattiva abitudine di cascare ogni tanto in un pozzo, di lasciarsi prendere da una tremenda malinconia e affogarci dentro, e annaspare per tornare a galla: questo è il vero guaio delle donne. Le donne spesso si vergognano d’avere questo guaio, e fingono di non avere guai e di essere energiche e libere, e camminano a passi fermi per le strade con bei vestiti e bocche dipinte e un’aria volitiva e sprezzante (...) M’è successo di scoprire proprio nelle donne più energiche e sprezzanti qualcosa che mi indiceva a commiserarle e che capivo molto bene perché ho anch’io  la stessa sofferenza da tanti anni e soltanto da poco tempo ho capito che proviene dal fatto che sono una donna e che mi sarà difficile liberarmene mai. Ho conosciuto moltissime donne, donne tranquille e donne non tranquille, ma nel pozzo ci cascano anche le donne tranquille: tutte cascano nel pozzo ogni tanto. Ho conosciuto donne che si trovano molto brutte e donne che si trovano molto belle, donne che riescono a girare i paesi e donne che non ci riescono, donne che hanno mal di testa ogni tanto e donne che non hanno mai mal di testa, donne che hanno tanti bei fazzoletti e donne che non hanno mai fazzoletti o se li hanno li perdono, donne che hanno paura d’essere troppo grasse e donne che hanno paura d’essere troppo magre, donne che zappano tutto il giorno in un campo e donne che spezzano la legna sul ginocchio e accendono il fuoco e fanno la polenta e cullano il bambino e lo allattano e donne che s’annoiano  a morte e frequentano corsi di storia delle religioni e donne che s’annoiano a morte e portano il cane a passeggio e donne che s’annoiano a morte e tormentano chi hanno sottomano, e donne che escono il mattino con le mani viola dal freddo e una scarpetta intorno al collo e donne che escono al mattino  muovendo il sedere e specchiandosi nelle vetrine e donne che hanno perso l’impiego e si siedono a mangiare un panino  su una panchina del giardino della stazione e donne che sono state piantate da un uomo e si siedono su una panchina del giardino della stazione e s’incipriano un po’ la faccia. Ho conosciuto moltissime donne, e adesso sono certa di trovare in loro dopo un poco qualcosa che è degno di commiserazione, un guaio tenuto più o meno segreto, più o meno grosso: la tendenza a cascare nel pozzo e trovarci una possibilità di sofferenza sconfinata che gli uomini non conoscono forse perché sono più forti di salute o più in gamba a dimenticare se stessi e a identificarsi con lavoro che fanno, più sicuri di sé e più padroni del proprio corpo e della propria vita e più liberi. Le donne incominciano nell’adolescenza a soffrire e a piangere in segreto nelle loro stanze, piangono per via del loro naso o della loro bocca o di qualche parte del loro corpo che trovano che non va bene , o  piangono perché pensano che nessuno le amerà mai o piangono perché hanno paura di essere stupide  o perché hanno pochi vistiti; queste sono le ragioni che danno a loro stesse ma sono in fondo solo dei pretesti e in verità piangono perché sono cascate nel pozzo e capiscono che ci cascheranno spesso nella loro vita e questo renderà loro difficile combinare qualcosa di serio. Le donne pensano molto a loro stesse e ci pensano in modo doloroso e febbrile  che è sconosciuto a un uomo. Le donne hanno dei figli, e quando hanno il primo bambino comincia in loro una specie di tristezza che è fatta di fatica e di paura e c’è sempre anche nelle done più sane e tranquille. E’ la paura che il bambino si ammali o è la paura di non avere denaro abbastanza per comprare tutto quello che serve al bambino, o è la paura d’avere il latte troppo grasso o d’avere il latte troppo liquido, è il senso di non poter più girare tanto i paesi  se prima si faceva o è il senso di non potersi più occupare di politica o è il senso di non poter più scrivere o di non poter più dipingere come prima o di non poter più fare  delle ascensioni in montagna per via del bambino, è il senso di non poter disporre della propria vita , è l’affanno di doversi difendere dalla malattia e dalla morte perché la salute e la vita della donna è necessaria al suo bambino.(...) Le donne sono unastirpe disgraziata e infelice con tanti secoli di schiaviu sulle spalle e quello che dovono fare è difendersi dalla loro malsana abitudine di cascare nel pozzo ogni tanto, perchè un essere libero non casca quasi mai nel pozzo e non pensa così sempre a se stesso ma si occupa di ttte le cose importanti e serie che ci sono al mondo e si occupa di se stesso soltanto per sforzarsi di essere ogni giorno più libero. così devo imparare a fare anch'io per la prima perchè se no certo non potrò combinare niente di serio e il mondo non andrà mai avanti bene finchè sarà così popolato d'una schiera di esseri non liberi.





(n.d.r: prossimamente pubblicherò il commento di Alba de Céspedes)

9 commenti:

  1. Ecco: grazie, grazie, grazie (e aspetto il commento della De Cespedes :-)

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  2. Grazie! Hai sollevato un velo che mi ha insegnato molto, hai reso con immagini sensazioni che avevo dentro e non riuscivo a razionalizzare.

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  3. Ciao, leggerò con calma ed attenzione. Ardovig

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  4. Come è vera questa immagine del pozzo. A me a volte sembra che siamo noi stesse, quel pozzo. Con una vocazione all'autoimmersione, come per un bisogno di scovare e confondere identità. Identità che è voglia di certezza nel "sapersi" e paura nello scoprirsi somigliare. Con una tenera pretesa di unicità. Paura di scoprirsi identiche. Indentiche a tanti altri pozzi con le gonne e gli occhi cerchiati di rimmel e sogni. Identità difesa a volte con disarmante fragilità, le mani sul petto, come a proteggersi o a mostrare con fierezza la curva di un pensiero, fingendo di esporre le altre curve; perché ci percorrano e siano lì a sentirci quando fingiamo di gridare aiuto perchè ci tirino su. E invece ce ne stiamo dentro un pozzo. Che a volte, molte volte siamo noi.

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  5. Hai ragione Mirella..finiamo spesso in quel pozzo..chissa' perche'? Mi sono rivista in almeno una ventina di esempi che hai fatto..grazie per queste parole. Aspetto il seguito. Maria Grazia.

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  6. non vorrei che non si fosse capito bene: lo scritto non è mio, è della Ginsburg (ma l'avrei scritto esattamente così anch'io ;)))

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  7. Affacciarsi a quel pozzo.......basterebbe anche un fil di voce....un bell'eco si sentirebbe.
    Un saluto.
    Giovanni

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  8. mir pensa... sono tornata a rileggere... quanti pozzi per noi donne... tanti per ognuna di noi... a volte troppi, altre pochi, ma non ci capita mai di nn cadere almeno in uno di essi! ehehe

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  9. Proprio così Mir....centrato in pieno...
    Un abbraccio ^.^

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