lunedì 14 novembre 2005

Ho provato a fare una sintesi di un artcolo, la cui versione integrale si trova qui. Non so se il pensiero dei due esperti d'economia  sia interamente condivisibile, soprattutto per l'afermazione finale, tuttavia ho trovato questa lettura molto interessante.










L

 













 

 





e fiamme che bruciano Parigi sprigionano un’energia distruttiva in ogni senso. Con un’eccezione, giacché i roghi delle borgate francesi forniscono l’occasione di accennare ad un articolo di Steven Levitt (“Understanding Why Crime Fell in the 1990s: Four Factors that Explain the Decline and Six that Do Not”, Journal of Economic Perspectives, Winter 2004). L’analisi di Levitt riguarda l’America, un paese dove le rivolte dei ghetti, che hanno delle analogie evidenti con gli avvenimenti francesi,  sono un fenomeno emerso negli anni sessanta che è proseguito nei decenni successivi. Tuttavia, negli anni ’90 il crimine è diminuito enormemente negli Stati Uniti, in tutte le categorie di delitti e in tutte le zone del paese. Questa diminuzione appare straordinaria non solo per la dimensione ma anche perché era largamente inattesa – tra il 1991 e il 2001 i crimini violenti segnalati dalla polizia sono diminuiti del 34 per cento, mentre tra il 1973 e il 1991 erano aumentati dell’83%. Inoltre, questa diminuzione complessiva dei delitti sembra essere una specificità americana. In Europa non si registra una tendenza simile. Ad esempio, tra il 1995 e il 1999 i crimini violenti sono cresciuti dell’11 per cento in media nell’Unione Europea (rispetto al calo del 20% in Usa), e il tasso di omicidi è diminuito solo del 4%, mentre nello stesso periodo la riduzione è stata del 28% negli Stati Uniti. In Italia i delitti di vario tipo sono aumentati del 16 per cento nel periodo 1989-99, in Francia del 9%. Di questa apparente eccezionalità americana, Levitt fornisce una spiegazione non convenzionale basata su di un’accurata analisi quantitativa, cominciando con lo scartare sei fattori che, pur se plausibili e per questo comunemente invocati, non c’entrano secondo lui con questo declino: 1) la forte crescita economica degli anni ’90; 2) l’invecchiamento della popolazione; 3) il miglioramento delle strategie della polizia; 4-5) la legislazione sul controllo e il trasporto delle armi; 6) l’aumento delle sentenze capitali. I fattori che secondo Levitt spiegano il declino del crimine sono altri: l’aumento del numero dei poliziotti, l’aumento della popolazione carceraria, il riflusso dell’epidemia di crack (cocaina), e la legalizzazione dell’aborto.

 




 




 




 



Passando dalle analisi alle proposte di azione preventiva e guardando ad un altro tipo di esperienza americana, un tema di cui si discute in Italia è l’adozione di politiche di discriminazione positiva, quelle che gli anglosassoni chiamano “affirmative actions”. Alla base di questo approccio vi è l’idea che vi sono strati di cittadini a cui non basta assicurare uguali diritti rispetto agli altri per garantire loro una sostanziale pari opportunità di partenza. Ad esempio, il diritto allo studio richiede che ai poveri sia assicurato un sostegno al reddito che ai figli dei ricchi non è necessario. Come sempre è il grado di applicazione di questo principio, di per sé banale, che segna il discrimine tra una politica e l’altra.  Non si tratta solo di un problema quantitativo, ma soprattutto qualitativo

 



La Francia che respinge la competizione internazionale, che difende una economia ricattata dalle corporazioni, come e forse ancor più di quella italiana, non è affatto inclusiva. Non è la riforma del welfare che spaventa gli esclusi oggi in rivolta ed i protetti che ieri alimentavano il voto al razzismo di Le Pen. 

 



E’ il concetto di esclusione che va considerato. Non basta essere povero per sentirsi un escluso, e neppure gli ampi divari economici spiegano questo sentimento. L’esclusione nasce dalla consapevolezza che non vi è un meccanismo per percorrere verso l’alto la scala sociale, e si ha paura dell’esclusione quando, se si discende la scala, non vi è un modo per risalire. La rivolte dei ghetti neri americani degli anni sessanta nascevano dal sistema di esclusione razzista; i bianchi poveri, a volte più poveri dei neri, non si ribellavano perché, nel complesso, l’idea che l’impegno individuale avrebbe potuto affrancare dalla povertà aveva un fondamento, anche se non sempre e non in ogni luogo.

 




 



Un capitalismo dinamico è necessario alla mobilità sociale, e quindi all’inclusione di tutti nella società, anche se non è sufficiente. Le discriminazioni attive possono essere utili solo se permettono ai beneficiari di partecipare alla competizione in un sistema che ammette la competizione stessa, che ammette vincitori e perdenti, purché non per casta. In un modello di economia corporativa, con un sistema di welfare studiato per proteggere una parte della società dalla concorrenza, non è la costruzione di case popolari e di ospedali, o l’adozione di un sistema pensionistico generoso, che possono dare prospettive ai giovani, immigrati o non immigrati. Tutte queste cose non rappresentano un sistema di incentivi. I comportamenti di massa sono spesso irrazionali e difficilmente governabili, ma alla loro base ci sono i comportamenti individuali e questi ultimi sono sensibili ad un dato sistema di incentivi. La repressione della micro-delinquenza e dell’illegalità è una parte irrinunciabile di questo sistema di incentivi. La parte necessaria a far funzionare il resto degli incentivi, che è dato, da un lato, dalla possibilità di successo economico e sociale e, dall’altro, dalla possibilità di fallimento. Solo così possono funzionare gli interventi diretti a dare a tutti gli strumenti necessari a competere, a cominciare da un sistema di istruzione decente.

 



In conclusione, alla domanda se la prevenzione di possibili rivolte risieda nell’aumento della spesa sociale o nel suo ri-orientamento, la nostra risposta è semplicemente no. 

 



 

 



Ernesto Felli e Giovanni Tria

 


6 commenti:

  1. Buona giornata Mirella..un caffe'? Maria Grazia.

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  2. Condivido poco o niente di quello che scrivono ad accezione di qualche spunto circa "l'esclusione".
    Ti dai all'impegno?
    Bacione

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  3. Salli, non mi do all'impegno, era solo una divagazione, tranquillo, rientro subito nei ranghi ;))
    Un caffè doppio con una goccia di cognac, grazie Maria Grazia!

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  4. in sintesi mi sembra che riproponga il sistema del bastone e la carota (mi so' pure letta l'articolo originale e i commenti per essere sicura di avere capito bene)
    La questione è che la "legge" la norma" a mio parere deve far parte del tessuto sociale "regolare" non essere attivata di colpo quando ci sono problemi. Dovrebbe essere una cornice entro la quale ad ognuno è possibile agire nei limiti del rispetto dell'altro. Una cornice sensibile, non vendicativa, ma una cornice. :-)

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  5. Ciao Mi e a tutti,
    convivo temporaneamente con un francese e le mie dirimpettaie sono francesi. Quindi si parla molto dei fatti di questi giorni. Noto, come sempre, l'incapacità dei francesi (con gradi diversi) di mettere in discussione i Valori Universali della République e di riconoscere che non sono per forza "universali". Questi valori egal-frater-liber sono astratti, ben presenti nel modo di essere francese, ma non vengono applicati. Si finge di applicarli (da secoli). Con tutto l'affetto per il mio amico Pascal e per le mie splendide- e non solo fisicamente- vicine di casa.
    bacio.
    Lino da Barna
    Ps Da buon torinese, odio le macchine e non mi spiace vederle bruciare.

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  6. Cara Mirella, sono così piacevoli le tue "divagazioni" che spero tu te ne conceda con frequenza ancora maggiore.
    Ernesto

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